Quelli che resistono agli iper

    Sorgono subito dopo le mura della città e rappresentano la prima periferia del centro. Oltre il Ponte di Tiberio, l’Arco di Augusto e la chiesa di San Gaudenzo, ci sono i vecchi borghi, nel passato fulcri della vita cittadina laboriosa, oggi unici superstiti di quel che s’intende per centro commerciale naturale. San Giovanni, Sant’Andrea e San Giuliano sono borghi doc e rappresentano l’ultima frontiera di quel che s’intende per commercio in città. Non più considerati come periferie, i borghi possono essere ancora una risorsa nella quale è possibile investire e in virtù di questo i numeri parlano chiaro. Il primo posto per numero di attività aperte se lo aggiudica il borgo Sant’Andrea, con oltre cento negozi, a seguire San Giovanni con 60 e San Giuliano, 50.
    Alcuni di loro sono stati attraversati dal fenomeno che il semiotico Giampaolo Proni descrive con il termine gentrification. Tradotto, un fenomeno secondo il quale zone con un certo degrado edilizio e con costi abitativi bassi, nel momento in cui vengono sottoposte a restauro e miglioramento urbano, tendono ad attirare nuovi abitanti ad alto reddito e a “cacciare” i vecchi residenti che economicamente non possono più permettersi di risiedervi.

    Là dove c’erano i marinai…
    Ma cosa rimane dell’identità di questi borghi? Oggi sono davvero così ricercati? Il nostro viaggio nelle ex-periferie comincia dal Borgo San Giuliano: 50 attività più o meno giovani, molte delle quali dedite al settore alimentare-enogastronomico. Il fenomeno gentrification ha colpito soprattutto questo angolo a ridosso del Ponte di Tiberio, che da borgo di marinai, anarchici ed emigranti, si è trasformato in questi ultimi anni in residenza per abitanti con reddito medio-alto che, investendo del denaro, hanno restaurato vecchie abitazioni trasformandole in vere chicche. Tanti hanno deciso di rimanere.
    “Nel 1860 – racconta Mario Pasquinelli – di questa Rimini ricca c’era ben poco, anzi dei 400 lavoratori del borgo 228 erano marinai, ma soprattutto poveri”. Negli anni la loro presenza è andata via via diminuendo, fino a scomparire e oggi questi lavoratori e le loro famiglie hanno lasciato una profonda traccia nel comportamento e nel modo di essere di tutti coloro che vivevano nel borgo.
    Numerosi piccoli ristoranti e trattorie nati in anni recenti si sono affiancati alle antiche botteghe che hanno resistito nonostante la crisi. Il panificio, la latteria, il macellaio, l’antennista di fiducia sono solo alcuni dei tasselli che mantengono vivo il borgo dei marinai. Ultimamente è stata riaperta in versione del tutto rinnovata l’antica osteria, caffè e bar in attivo dal 1903 con diversi nomi come Teresina, Bar Auto e altri. Non manca nemmeno il noto Panificio Olivieri che proprio quest’anno ha celebrato i cent’anni di attività o uno dei ristoranti più anziani, il Lurido, presente dal 1942.
    A mantenere alta l’identità è la Società de’ Borg, nata da cultori della tradizione che vogliono preservare un pezzetto della storia riminese non solo attraverso il loro amore ma anche tramite la festa del Borgo, l’appuntamento biennale che risveglia nelle persone – e non solo negli abitanti – la voglia di rivivere almeno per un fine settimana la storia.

    Quando si vendevano i gessi
    Dal Borgo San Giuliano, dopo il Ponte di Tiberio, si procede lungo Corso Augusto fino a Piazza Tre Martiri, si gira in via Garibaldi e quando ci si trova di fronte la chiesa di San Gaudenzo eccoci al Borgo Sant’Andrea. Fin dall’antichità a vocazione commerciale e importante punto di aggregazione. Non solo maniscalchi, ma anche vendita di animali tra cui si ricorda la bottega più vecchia, tutt’ora in attività, che risale al 1872 di proprietà di Corrado Balducci. “Si contano 124 attività in funzione, molte delle quali tramandate di generazione in generazione” spiega Antonio Cuccolo, coordinatore del comitato Sant’Andrea. Sei quelle aperte di recente, “fatto positivo visto che la nostra città vive grazie ai centri commerciali naturali, unica vera risposta alla grande distribuzione. Acquistare, fare spesa nei borghi è molto più comodo ed economico che andare negli scatoloni, come li chiamo io”.
    Non molto lontana dall’ex piazzetta dei Gessi (chiamata così perché si vendeva il gesso, oggi piazza Mazzini) sono nate botteghe particolari come il rivenditore di tè, il laboratorio di ceramica, il negozio di abbigliamento e uno dei ristoranti più vecchi di Rimini, ora rinnovato, il Gambon. Il Borgo Sant’Andrea, che da alcuni anni sta ricostruendo la sua storia lontana e più recente, ha lanciato una petizione per riportare alla memoria i nomi antichi dei posti e delle strade. Lo scopo è di ridare al luogo dove sorge il nuovo Palacongressi (il “Raggio Verde”) il suo antico nome, “Territorio della Ghirlandetta”. Per rimanere in tema, anche la strada, ora via della Fiera – si legge sempre nella petizione – dovrebbe diventare “della Ghirlandetta o Isotta” e il laghetto del Peep “Cava della Fornace” com’era in origine.

    Artigiani e case a schiera
    Scendendo da via Garibaldi verso piazza Tre Martiri si riprende il corso in direzione Arco d’Augusto e in pochi minuti si giunge al Borgo San Giovanni. Nel Medioevo era detto di “San Genesio” e registrava un’alta densità abitativa. Nel XV secolo contava 125 abitazioni e 32 botteghe. Negozi artigiani come fabbri, maniscalchi, calzolai, e carrai. Le case a schiera, come le vediamo oggi, ebbero la loro prima comparsa nel XIII e XIV secolo e da allora, rimasero una costante della via.
    Cosa rimane qui del vigore commerciale di una volta? Tanti hanno chiuso ma tanti altri hanno riaperto ed è difficile trovare negozi sfitti. Si contano circa 60 attività, molte delle quali legate all’alimentare come rosticcerie, piadinerie, pizza al taglio e bar. “Rispetto a dieci anni fa, e io sono qui dal 1987, la situazione è notevolmente cambiata – racconta Alfredo Vigorosi, portavoce del Comitato San Giovanni -. Sono del tutto spariti i piccoli alimentari come la latteria, il macellaio, ecc. fagocitati purtroppo dai centri commerciali. Ma non possiamo lamentarci, a dispetto di altre zone questo borgo non ha sofferto una chiusura selvaggia e ha saputo anche rinnovarsi al passo con i tempi”. Qualche esempio? Il Borgo Lab che vende oggetti di design o lo showroom di mobili da esterno. Ma ci sono anche attività dedicate a bomboniere, abbigliamento e pizza al taglio. Si affiancano silenziosi, come ultimi baluardi, il rivenditore d’olio o il rilegatore di libri, antichi mestieri che oggi nessuno più continua.
    Il coraggio di buttarsi in una nuova avventura commerciale non è tutto, bisogna poi fare i conti con la realtà. “Il movimento a piedi lungo la via non è più quello di una volta. La passeggiata del sabato pomeriggio si è trasferita al centro commerciale e durante la settimana l’afflusso è davvero basso”. Ma il punto cruciale che più volte hanno fatto presente i commercianti e l’intero Comitato è la carenza di parcheggi. “Tutte le città – lamenta Vigorosi – hanno parcheggi sotterranei ma noi no. Quei pochi rimasti o li tolgono o li mettono a pagamento. Poi la viabilità è diventata ancora peggio con la costruzione del nuovo Palacongressi”. E ancora non ha aperto…

    Marzia Caserio

    Nella foto, Borgo Mazzini