Home Storia e Storie Talacia, il Geppetto romagnolo

Talacia, il Geppetto romagnolo

C’era una volta… “Un re!” diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.

L’incipit del celebre libro di Collodi ha introdotto gli spettatori nella giusta atmosfera, quella adatta a raccontare l’incredibile storia dell’orologio di Talacia, una vicenda che meriterebbe un film.
La voce era quella di Liana Mussoni, bravissima nelle vesti di attrice e di cantante, accompagnata dagli strumenti (fisarmonica e altro) di Tiziano Paganelli. Graditissimi anche gli intermezzi di Mario Bianchini, che ha recitato alcune poesie di Raffaello Baldini, il grande santarcangiolese che sul tempo ha scritto alcuni dei suoi versi più belli.
Ma perché la bottega del vecchio falegname della favola si adatta così bene alla storia vera che ha avuto come scenario il piccolo borgo di San Martino in Riparotta, poco distante da Viserba?

Una cosa è certa. Di fronte all’arcana opera di Gennaro Angelini non si resta indifferenti. L’orologio di Talacia, anzi, il meccanismo prodigioso, coi suoi quadranti e le sue ruote, le catene e i tiranti, intricata e sorprendente rappresentazione delle meccaniche celesti, nella sua rudimentale essenza toglie il fiato, misterioso e inquietante. Oggi sta immoto. Dicono si sia fermato quando il cuore del suo creatore smise di battere.
Di lui e del suo creatore negli anni Cinquanta si scrissero diversi articoli e l’Istituto Luce girò un paio di documentari. Orologiai svizzeri arrivarono in pullman a San Martino in Riparotta, piccolo e antico borgo sulla via Emilia, a pochi passi dalla Nuova Fiera, per tentare di carpirne, invano, il segreto.
C’era grande curiosità e stupore degli uomini “colti” per questo marchingegno di legno e ruggine, diabolico nella sua elementare complessità, con il fascino ancestrale e misterioso di un calendario Maya.

Il protagonista: un Geppetto che parlava romagnolo. Un contadino semianalfabeta che, se fosse nato in una ricca famiglia che gli avesse permesso gli studi, sarebbe di sicuro diventato ingegnere, scienziato e chissà cos’altro.
Genio naif, inventore di strumenti e attrezzi che rendessero le fatiche dei campi più leggere, guida e “portabandiera” di una famiglia di mezzadri provata dalla guerra, Gennaro Angelini (1874–1956), “contadino del prete”, detto Talacia, inseguiva un sogno: il moto perpetuo. La sua creatività, il continuo escogitare nuovi meccanismi e ingranaggi ricavati da poveri pezzi di legno e di latta o da parti di biciclette, dipanatoi e filatoi in disuso lo hanno portato, nell’arco di trent’anni e forse più, a costruire un orologio-calendario incredibile.
Ma “orologio” è definizione decisamente riduttiva. Vedere per credere: quanto rimane del marchingegno, che negli anni ha rischiato di andare perso (fu smontato e portato da una nipote a Rieti, ma oggi è ritornato a casa grazie all’interessamento del parroco don Danilo) ora è visitabile, ogni domenica mattina, nella sagrestia della parrocchia.

Non un orologio qualsiasi. Non è ancora la ricostruzione esatta della mastodontica creatura di Gennaro, quella che stava appesa al soffitto della stalla e che, pezzo dopo pezzo, cresceva un po’ alla volta convivendo col placido ruminare dei buoi, ma i volontari che se ne stanno occupando, pure loro animati dalla passione del loro ispiratore, confidano di raggiungere la “quasi perfezione”.
No, la creatura di Talacia, non era solo un orologio, bensì una “enciclopedia del tempo” (secondo la felice definizione dell’anonimo giornalista che nel 1950 realizzò un documentario per l’Istituto Luce). Segnava i minuti, i quarti, le mezz’ore, le ore, i giorni della settimana e quelli del mese, le stagioni, le fasi solari e quelle lunari, gli anni bisestili. Aveva una campana per la sveglia del mattino e a mezzogiorno in punto sparava un colpo di pistola. “Spero che Dio sia con me – diceva Talacia – e che mi dia l’immortalità, in modo che quando (l’orologio) si scaricherà, io possa venire a ricaricarlo”.
Dice don Danilo: “Con i poveri materiali che riusciva a rimediare e con i pochissimi mezzi economici e tecnici che quei tempi duri consentivano, Gennaro aveva portato a termine questa opera straordinaria, fatta di ruote, tiranti, molle, pulegge, quadranti, lamiere, chiodi, catene di biciclette, pezzi di legno. Gennaro, mi hanno raccontato i nipoti, aveva fatto solo la seconda elementare, ma era geniale in molti campi della creatività umana: dalla musica alla meccanica, dall’elettricità al ballo”.

I contributi. Don Danilo è stato il promotore del ritorno dell’orologio a San Martino in Riparotta, ma indispensabili sono stati i discendenti di Talacia (le famiglie Angelini, Evangelisti e Lazzarini) e l’apporto pratico di Martino Urbinati e Riccardo Rinaldi, che, novelli Geppetti pure loro, si sono messi a disposizione praticamente per tentare il rimontaggio “com’era e dov’era”.
Fondamentale il contributo del Museo Etnografico di Santarcangelo, che, nella persona del direttore Mario Turci e della ricercatrice Federica Foschi, sorvegliano il marchingegno e periodicamente ne verificano la salute. La proprietà del prezioso oggetto, infatti, è stata intestata al Museo Etnografico, con l’impegno di lasciarlo visitabile nella parrocchia.

Non solo spiaggia. Nelle giornate successive all’evento, a Viserba si è molto parlato di Talacia. E il leit motiv è il solito: “Abbiamo dei luoghi e delle storie così belle e originali e non le sappiamo valorizzare”. Intanto, l’associazione Ippocampo, come da statuto, nella domenica successiva allo spettacolo di Liana ha fatto la sua parte, portando in “gita guidata” all’orologio di Talacia un bel gruppo di turisti, fra i quali il pittore Fernando Gualtieri e sua moglie Yvette. E – sorpresa! – ad attendere le novelle “guide turistiche”, a San Martino in Riparotta c’erano altre persone, che avevano saputo dell’evento dal passaparola e da Facebook.
A conferma che queste “piccole grandi” storie del territorio hanno una grande valenza anche per l’attrattiva turistica. Oltre alla spiaggia, c’è di più.

Maria Cristina Muccioli