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Sulla strada per Kucova

La missione diocesana in Albania ha festeggiato i 20 anni. Era il novembre 1993, quando cominciò il cammino nella Tera delle Aquile.
Nata sull’onda dell’emergenza umanitaria e religiosa di cui necessitava quel paese, col passare del tempo la missione si è sempre più affermata come una vera e propria opera di edificazione della Chiesa, sia per la popolazione che per la comunità diocesana riminese, oltre che di promozione umana e sociale e di evangelizzazione di un territorio.
In occasione della ricorrenza dei 20 anni, domenica 17 novembre è stata organizzata una tavola rotonda e la celebrazione eucaristica nella basilica cattedrale, presieduta dal vescovo Francesco Lambiasi. Alla tavola rotonda hanno partecipato numerosi protagonisti e testimoni di questi due decenni spesi per il Vangelo e la promozione sociale.

Dopo l’introduzione di don Aldo Fonti, direttore di Missio, è intervenuto don Renzo Gradara, che ha raccontato gli inizi.
L’attuale direttore della Caritas si è soffermato sull’origine della missione stessa, ricordando che i primi 15 anni sono ben descritti nel libro edito un lustro fa Al di là dell’Adriatico. “Il primo seme che è stato gettato per dare corpo e sostanza a questa missione, è stata l’accoglienza nel 1991 di un ragazzo albanese nella canonica di San Lorenzo in Correggiano, dove allora ero parroco. Nel marzo dello stesso anno mons. Claudio Celli era stato il primo Delegato vaticano in Albania. Ad accoglierlo c’era anche madre Teresa. In precedenza la «piccola sorella» suor Licia, che è di Riccione, era stata per anni presente in silenzio in Albania ai tempi della dittatura comunista di Enver Oxa.
Nell’agosto 1992 accettai l’invito di andare a trovare le famiglie degli albanesi accolti. Nel marzo 1993, ricevetti l’incarico ufficiale dall’allora vescovo di Rimini, Mariano De Nicolò, di tornare dal nunzio apostolico mons. Dias, che avevo già incontrato l’anno precedente. Da questo episodio nacque l’idea di una missione riminese nel Sud dell’Albania, un impegno evangelizzatore confermato dal Vescovo durante la messa crismale. Storica ed emozionanate fu la Messa che celebrai il 6 maggio 1993 assieme don Tarcisio Giungi e don Fiorenzo Baldacci, nella vecchia chiesa di Kucova, dal regime trasformata in cinema. Dopo 45 anni l’eucarestia tornava a Kucova
”.
Noi abbiamo accolto gli albanesi a Rimini – ha concluso don Renzo – loro ci hanno portato in Albania. Lungo la strada della solidarietà il Signore costruisce percorsi di salvezza”.
A questo punto si è alzato il vescovo emerito di Rimini Mariano De Nicolò che ha ricordato la sua amicizia personale con mons. Diaz (poi nominato cardinale) e la “scommessa ecumenica” fatta invitando tre diverse congregazioni a collaborare. “Un segno di unità per la Missione, ma anche per la nostra Diocesi”.

L’attività a Kucova iniziò nel novembre del 1993. Don Giuseppe Vaccarini e quattro suore di tre congregazioni diverse, l’11 novembre si stabilirono a Kucova. E stato proprio don Giuseppe a illustrare i primi tempi della missione: “I primi tre anni sono emblematici con tante situazioni che ci misero alla prova, ma che segnarono un modello”. La difficoltà di rompere con la “sindrome di babbo Natale” che accompagnava i missionari, “con buona accoglienza e simpatia, ma anche con la pretesa di aiuti e il manifestarsi della delusione se, come avevamo scelto noi per non legare la proposta di fede all’aiuto umanitario, non sempre venivano corrisposti”. Le priorità scelte furono la scuola e la sanità, ma, successivamente, anche l’aiuto diretto alle situazioni più drammatiche, con l’adozione a distanza di famiglie povere ed emarginate. Il primo impegno, come ci invitava mons. Diaz, fu nel recupero dei cattolici “di tradizione”, evitando forme di proselitismo, che avrebbero portato all’urto e all’opposizione delle comunità ortodosse e musulmane, con le quali c’è sempre stato un rapporto fraterno. “Vennero poi nel 1997 il crollo delle ’piramidi’ finanziarie (con un migliaio di morti ammazzati in zona) e nel 1999 l’emergenza Kossovo, quando ospitammo in parrocchia 70 perosne e gestimmo un campo con 250 profughi”.

Nel novembre 2002 arriva don Giovanni Vaccarini. Nel suo ampio e ricco intervento ha raccontato, anche con tanti aneddoti, la vita del secondo decennio della missione. “Dal 2000 era iniziato un periodo di stabilizzazione del cammino. Da allora si insiste sulla formazione dei laici, creando una coscienza che porti tutti i battezzati a sentirsi responsabili della Chiesa”.

Simpatico il contributo di suor Norma delle Maestre Pie, una delle prime missionarie, che ha strappato un sorriso e un applauso: “Mi sono innamorata dell’Albania e la porto nel cuore. Una suora non dovrebbe parlare tanto di innamoramento, ma si dice che dopo una certa età si può abbraccaire chi si vuole”.
È poi interventuto don Giusepppe Tosi, in Albania dal 5 settembre 2011 e dal giugno 2012 responsabile della comunità. Al suo intervento dedicheremo spazio sul prossimo numero.
Infine il vescovo Francesco ha concluso l’assemblea. “La missione della Diocesi di Rimini in Albania, ha da tempo superato la fase embrionale del progetto, ma non è ancora in uno stato maturo. C’è ancora tanto da fare. Ho visto missionari motivati, che stanno dando la vita per la riuscita del progetto. C’è anche da sottolineare che la missione opera in una zona difficile nel Sud del paese. La fede – ha detto mons. Lambiasi – è un dono prezioso di Dio che va condiviso. Una comunità chiusa è una comunità malata. Dobbiamo essere uniti nell’essenziale, ma capaci di convergere nell’opinabile. Per andare a Roma si può passare sia da Ancona che da Bologna. Non importa la strada che si prende, l’importante è arrivarci”. Mons. Lambiasi ha poi annunciato una lettera alla Diocesi in cui vuole ricordare a tutti che è ancora tempo di missione.“La parrocchia di Albania va sostenuta con delicatezza, attenzione, ascolto, senza sostituirsi al loro cammino, ma facendosi accanto”.

Patrizio Placuzzi/Giovanni Tonelli