Home Editoriale Rimini dalla bocca cucita

Rimini dalla bocca cucita

Posso assicurare che a Rimini non mancano magistrati capaci e determinati. I giudici hanno bisogno di materiali su cui lavorare, spunti concreti da cui muoversi per impostare le indagini. Ciò che è mancato fino ad ora è una società civile, o almeno cittadini convinti che il malaffare, il favoritismo non giovano, che non sono un male con cui convivere, ma un cancro da estirpare e che agiscano di conseguenza, parlando e fornendo elementi di loro conoscenza.
Questa considerazione non vale solo per i fatti di corruzione, ma anche per altri episodi criminali, come le estorsioni, il pizzo, che certamente non mancano neppure nel nostro territorio. Alla base della ricostruzione morale del Paese nella giustizia, non può che stare un forte recupero della legalità, intesa sia come rispetto della legge, di tutte le leggi, da parte di ciascuno, anche delle leggi scomode, quelle che prevedono tasse, costi anche economici per chi le osserva (quanti di quelli che protestano contro l’evasione fiscale pretendono poi la fattura quando vanno dal carrozziere, dall’avvocato o dal medico?), sia come pretesa che gli altri le rispettino. Rispetto della legalità significa anche non accettare il sopruso, l’ingiustizia, la parzialità, i favoritismi, e denunciare, facendo nomi e cognomi. E firmandosi.
Non sono le esatte parole del Procuratore della Repubblica Paolo Giovagnoli al convegno dell’Ordine dei Commercialisti e della BCC Valmarecchia su “Soldi nostri, soldi loro?”, ma la differenza non va oltre l’uso delle virgole. Le abbiamo ritrovate su il Ponte del 6 settembre 1992 e sono del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini Vincenzo Andreucci.
Vent’anni sono passati, ma Rimini rimane muta. La denuncia del procuratore Giovagnoli pesa come un macigno: “Non siamo riusciti a trovare prove tangibili che ci sia stato un passaggio di denaro tra funzionari pubblici corrotti e i loro corruttori: Ma il sospetto in molti casi, resta fortissimo”. Un intervento che conferma la grave denuncia di vent’anni fa, quando tutt’Italia fu sconquassata dal fenomeno di Mani pulite e a Rimini non si andò oltre qualche lettera anonima e la condanna di un assessore e di un dirigente di un piccolo comune. Se fossimo al Sud la parola sarebbe omertà, connivenza silenziosa. Difficile pensare che questa sia un’isola felice; proprio il Procuratore anzi ci ha detto che non lo è.
Ma, oggi come allora, Rimini attende che siano gli altri a cambiare.

Giovanni Tonelli