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Padre, fratello e ora Papa

Intervista a suor Abir Hanna

Papa Leone XIV per ben due volte è stato a Pennabilli, nel monastero delle monache agostiniane, quando era ancora Priore Generale dell’Ordine. Prima nel 2005, poi nel 2009: due visite dense di significato, legate alla vita di una giovane sorella, suor Abir Hanna, libanese, entrata nella comunità agostiniana di Sant’Antonio da Padova. In quelle due occasioni, infatti, celebrava prima la sua professione temporanea, poi quella perpetua (nella foto Khalil Hanna). All’epoca della prima esperienza di suor Abir nel monastero di Sant’Antonio da Padova (era il marzo 2003), a Pennabilli le sorelle erano 5, donne di fede, libere e gioiose, anche se avanti nell’età. Oggi la comunità conta 14 sorelle di età che va da 95 a 28 anni di cui due sono di quel primo nucleo che ha accolto suor Abir.

Attualmente suor Abir si trova a Roma per motivi di studio: è iscritta al Pontificio Istituto Biblico, dove si sta specializzando in esegesi biblica, e insegna Ebraico biblico all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” di Rimini e di San Marino Montefeltro. Era tra le decine di migliaia di persone che hanno affollato Piazza San Pietro nel momento dell’“Habemus Papam”.

Commozione, stupore, memoria. Abbiamo raccolto le sue parole.

Suor Abir, il nuovo Papa è un agostiniano. E lei lo conosce bene… “Prima di essere il Papa, padre Robert è anzitutto per noi un fratello. Sapere che questo fratello è stato chiamato dallo Spirito Santo e dai cardinali riuniti in conclave a servire la Chiesa come Vescovo di Roma, è stata una gioia e un’emozione profonda.

Tanto più che è stato presente nei due momenti più significativi della mia vita religiosa, presiedendo i miei voti come Priore Generale dell’Ordine”.

Che ricordo ha di lui, in quelle occasioni?

“Erano anni in cui la nostra comunità era piccolissima: io ero giovane, c’erano solo tre sorelle anziane. All’epoca non era neanche sperabile una rinascita, la sua presenza è stata nel segno della gratuità, del farsi vicino ad una realtà povera e periferica. Nei suoi 12 anni da padre generale ha dimostrato un’enorme capacità di ascoltare la realtà dell’Ordine sparsa per il mondo e di far crescere anche quelle piccole comunità che altri avrebbero potuto trascurare e che lui invece ha giudicato come promettenti.

Credo che quei 12 anni siano stati per lui una grande palestra, in cui ha imparato la fatica della sintesi, dell’accompagnamento, della visione lunga”.

E oggi quella piccola comunità è cambiata.

“Molto. Viviamo una vita che unisce la vita monastica che è vita di preghiera, allo studio, al lavoro e all’ospitalità, scommettendo sulla custodia delle relazioni fraterne e sulla crescita della comunità oltre il confine della comunità, nei legami di amicizia e di fede con la realtà delle persone che bussano alla nostra porta, vicini e lontani. E tutto questo è stato possibile anche grazie alla fiducia che padre Robert ha avuto in noi. Non ci ha chiesto di omologarci ad altri modelli, ma ci ha sostenute nel far crescere il nostro carisma, riconoscendo che ogni comunità ha un proprio volto e una propria grazia. Questa è stata la sua grande forza anche per tutto il monachesimo femminile: ha promosso la diversità nell’unità, come vero figlio di Agostino”.

In che modo ha vissuto questa apertura?

“Un esempio: l’Assemblea delle rappresentanti di tutti i monasteri di vita contemplativa dell’Ordine, che si è tenuta a Guadarrama, in Spagna. È stato un evento storico. Ci siamo incontrate tra sorelle di vari Paesi, culture, sensibilità. Abbiamo capito che essere diverse non minaccia l’unità, ma anzi fa fiorire il carisma in modo plurale, profetico e, direi, visionario”.

Lei era presente in piazza San Pietro.

“Sì, appena ho visto la fumata bianca sono corsa in piazza. Nonostante la folla immensa, sono riuscita a entrare. Quando è stato pronunciato il nome «Robertum Franciscus Prevost» e poi l’ho visto affacciarsi dal balcone, ho pianto. Mi è sembrato di vivere un sogno. Quando ha parlato di «pace disarmata e disarmante» il mio cuore ha sobbalzato: sono nata in Libano, un Paese ferito dalla guerra. ( suor Abir ha perso un fratello in quel conflitto, ndr). Sentire un Papa che mette subito al centro la pace, e la pace di Cristo disarmata e disarmante che richiede perseveranza e unità, è stato toccante e profondo. Come se tutta la mia storia si fosse, per un momento, ricomposta”.

Da generale dell’ordine, Papa Leone è venuto due volte a Pennabilli, nel 2005 e nel 2009 in occasione dei tuoi voti. Il vostro monastero è in Diocesi di San Marino-Montefeltro ma ha un rapporto stretto con la Diocesi di Rimini.

“Sì, i legami con Rimini sono molteplici e molto ricchi, grazie alla realtà della chiesa e l’amicizia tra le due chiese locali e non di meno grazie alla collaborazione assidua tra il monastero e l’ISSR Marvelli. Speriamo che padre Robert possa venire a trovarci e ad incontrare questo territorio anche da Papa!

La sua presenza in occasione delle mie professioni è stata un bel regalo. All’epoca la comunità del monastero di Sant’Antonio da Padova era molto piccola, e non quella che oggi è divenuta, ed è grazie anche a padre Robert se oggi è divenuta quel che è divenuta. Ha dato credito al desiderio di vivere la nostra vita e il nostro carisma agostiniano dando spazio allo studio al lavoro oltre che alla preghiera e alla ospitalità. Dopo 12, 13 anni viviamo secondo il desiderio dell’epoca, al quale padre Robert ha dato credito e reso possibile in quanto padre generale e oggi vediamo i frutti.

Che sia diventato Papa per noi è una parola nella parola: andate avanti con quella intuizione che avete ricevuto e che lui stesso ha in qualche modo avallato”.

Ieri padre Robert, oggi papa Leone XIV.

“Ho tanta fiducia in lui. Padre Robert si è fatto conoscere come padre e fratello, ora impareremo a conoscerlo come papa, come ogni successore di Pietro”.

Leggi l’intervista al vescovo Nicolò