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La sapienza di Israele e il vicino Oriente Antico

Laila Lucci, biblista, è docente di Lingua Ebraica e Libri Sapienziali presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Marvelli” di Rimini. Per le Edizioni San Paolo, nella collana “Nuova Versione della Bibbia dai Testi Antichi”, ha curato i volumi su Gioele e Amos. Ora si cimenta con una nuova opera: Sapienza di Israele e Vicino Oriente Antico, una introduzione alla Scrittura degli scritti biblici sapienziali, pubblicata a Milano da ETS.

Perché nel suo libro la Sapienza di Israele viene messa in relazione al Vicino Oriente Antico?
“Perché la Sacra Scrittura non è sorta come una cattedrale nel deserto, ma si è formata nell’alveo della cultura internazionale, attraverso un ‘movimento sapienziale’, diffuso in vari paesi dell’Oriente Antico. Anche ad una disamina superficiale ci si accorge, per esempio, che proverbi, sentenze e massime biblici, nella loro stesura finale, non sono l’esclusiva elaborazione di un’esperienza religiosa specifica. Gli stessi contenuti e si ritrovano, infatti, nelle letterature dei popoli circostanti Israele. Non bisogna dimenticare che i fatti biblici inerenti la storia della salvezza si sono svolti in un ambito territoriale che si estende dalla Mesopotamia all’Egitto”.

Può fare un esempio di contenuti che la Bibbia avrebbe mutuato da altre culture?
“Gli esempi sono molteplici. Nelle letterature di varie culture orientali si trovano racconti di creazione, raccolte di leggi, racconti di diluvio universale, inni, preghiere, collezioni di proverbi, sorprendentemente simili a quelli biblici, sia per contenuto che per forme. Molte di queste espressioni letterarie sono il prodotto di analoghe esperienze di vita; alla base del pensiero sapienziale biblico c’è, dunque, un fondo esperienziale comune a tutto il Vicino Oriente. Marcate analogie ci sono anche con opere bibliche di tipo concettuale, come il libro di Giobbe o il Qoelet, che elaborano riflessioni su problematiche universali come la sofferenza del giusto, la retribuzione da parte della divinità e la sua giustizia”.

Che cosa ha reso possibile la somiglianza dei libri biblici con opere di altri popoli?
“Gli scritti biblici sono profondamente debitori verso gli assunti culturali comuni a varie civiltà, innanzitutto perché quella di Israele è l’ultima nata in oriente, poi perché i regni, e prima ancora le tribù di Israele, furono a stretto contatto con gli imperi successivi (l’Egitto, gli Ittiti, l’Assiria, la Babilonia e l’Iran). Cause specifiche sono state le invasioni, le conquiste, le migrazioni di popoli, ma anche i commerci e i viaggi. Il contatto con la produzione culturale e letteraria di popoli diversi ha esercitato una profonda suggestione sulla produzione letteraria biblica; ne è testimone l’archeologia la quale ha dimostrato, per esempio, che scribi di Israele studiavano su tavolette in cuneiforme”.

Tutto questo come va insieme con il concetto di ispirazione del testo sacro?
“Riguardo a questo ci viene in aiuto la Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, la quale al § 12 insegna che nella Sacra Scrittura Dio ‘ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana’ e, per ben comprendere, è necessario tenere conto che l’agiografo ha scritto ‘in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso… Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani’”. (re)