Per molti giovani, l’estate riminese comporta solo una cosa: il lavoro stagionale. Da sempre animata dal turismo, Rimini offre ai neo lavoratori varie possibilità, aprendo tantissime strade. Ma non è tutto oro quello che luccica: queste offerte spesso comportano quello che ormai da anni rappresenta un problema, cioè le condizioni di lavoro e lo sfruttamento. I sedici anni per un’adolescente sono una tappa importante: segnano una prima entrata nel mondo delle esperienze lavorative, con la possibilità di contribuire non solo allo Stato ma anche a se stessi, avviandosi verso l’indipendenza.
I lavori estivi rispondono perfettamente a questo bisogno: ce ne sono per ogni categoria in base a ciò che si vuole fare o al settore in cui ci si vuole impegnare, andando con i più noti bagnino, animatore o cameriere e barista. Insomma, il territorio offre tantissime occasioni per cimentarsi in questo ambito, anche offrendo esperienze formative che aiutano nella scelta e ricerca del proprio futuro una volta finite le scuole superiori.
Può accadere, però, che questa aumentata richiesta non produca la risposta che ci si aspettava. Infatti, la voglia dei ragazzi di mettersi in gioco può diventare una scusa da parte degli offerenti per approfitarsene, considerandoli “disposti a tutto”. Molte condizioni di lavoro sono al limite: si parla di orari straordinari in cui i ragazzi vengono sfruttati per fare anche i compiti dei propri colleghi o perfino dai propri direttori, che li obbligano a fare cose che non appartengono al contratto, scaricando tutto ciò che non si ha voglia di fare. I motivi che vengono avanzati sono tanti, con il più frequente: “È per fare esperienza”.
Ma quand’è che si parla di sfruttamento?
Per definizione, è una qualsiasi attività lavorativa che, in età minorile, vieta lo studio e la libertà, mentre in linea generale va a intaccare la dignità di un individuo o influisce negativamente sul suo sviluppo psico-fisico. Durante la stagione estiva, ovviamente, lo studio non è un problema, ma sono gli altri “punti” che in diversi casi non vengono rispettati. Le condizioni lavorative in molti casi sono semplicemente pessime, ai limiti della decenza. Ce lo dimostrano alcune testimonianze.
Viola è una ragazza di 17 anni che racconta la sua prima esperienza, fatta l’anno scorso come cameriera: “ Mi hanno insultata, pesantemente. Mi hanno detto che non sapevo fare nulla e che non mi meritavo un lavoro, mandandomi a fan***o e offendendo la mia persona. Tutto ciò di fronte ai clienti durante il servizio, quando non potevo rispondere. Non potevo chiedere aiuto: i direttori arrivavano in stati confusionali, ubriachi o anche peggio. Ero bloccata in un ambiente che continuava a ferirmi, portandomi in uno stato psicologico che rovinava tutta la mia giornata, anche fuori dal lavoro. Ho mollato a metà stagione: era impossibile per me continuare. Fortunatamente sono riuscita a trovare un altro lavoro come cameriera, ma le cose non erano migliori. Il mio direttore, che era anche caposala, si prendeva gioco di me insieme aicolleghi: erano tutti uomini più grandi di me che non avevano rimorsi nel fare battutine spinte o allungare la mano un po’ troppo. Come potevo lamentarmi però? Lo stesso responsabile era il primo a farlo. Mi avevano escluso perfino dalla redistribuzione delle mance”.
Non sono solo quelli verbali, purtroppo, gli abusi di cui dovremmo preoccuparci: ce ne parla Chiara, anche lei 17enne, che ricorda la sua prima esperienza fatta a 15. “ Eravamo in un centro estivo. Spesso, a Rimini, questi centri tendono a prendere anche ragazzini non in età da lavoro, come ero io a 15 anni. Il motivo per il quale riescono a farlo è che, legalmente, eravamo tutti volontari, ma nell’effettivo non era assolutamente così: avevamo orari rigidi che andavano rispettati e per 10 ore a giornata mi pagavano € 1,50/h. Non avevamo un giorno di riposo, le pause pranzo duravano quindici minuti. I telefoni erano assolutamente vietati, non potevo chiamare nemmeno la mia famiglia. Ma non solo: del gruppo di 16 ragazzi animatori, solo 4 erano maggiorenni, mentre la fascia di ragazzi che dovevamo badare andava dai 4 ai 13 anni. Il più piccolo degli animatori frequentava la terza media e doveva badare ai suoi coetanei. Eravamo bambini che tenevano d’occhio altri bambini. Non che fosse un centro estivo campato in aria: aveva una sede, altri impiegati adulti e le famiglie pagavano 900 euro per tre mesi”. Ma non per forza i problemi possono essere così gravi o macroscopici.
Le forme di disagio possono nascere da tante cose e ciò non le rende meno importanti rispetto ad altre. È quanto racconta Giada, sempre 17 anni, della sua prima stagione come barista. “ Il lavoro di per sè non mi pesava: nonostante fosse la mia prima volta, stavo imparando in fretta. Il problema era chi mi seguiva: veniva solo la sera, dato che io non potevo maneggiare alcolici. Mi ha sempre fatto pesare qualsiasi cosa io facessi. Mi lasciava compiti assurdi, tipo lucidare i pavimenti dei bagni con la candeggina e uno spazzolino ogni settimana. Mi faceva pesare che io non potessi fare i drink e che dovessi farli io o che non potessi fare la cassa, che era l’unico motivo per cui lui doveva venire. Ogni mio errore dato dall’inesperienza era una giustificazione per farmi sentire una buona a nulla, un’incapace. Non solo non si può trattare così una ragazzina, non si può trattare così una persona”.
EMILY HYSA