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La mia vita, una danza a colori

Simona Atzori è una ballerina di fama internazionale, pittrice e artista a 360 gradi. Nasce nel 1974 senza braccia e fin da piccola impara a usare i piedi per fare ogni cosa: mangiare, bere un caffè, vestirsi, guidare la macchina.
Nel 1992 dona a Papa Giovanni Paolo II un suo ritratto e nel 2000 è Ambasciatrice per la Danza nel Grande Giubileo; porta per la prima volta la danza in Chiesa con la coreografia “Amen” di Paolo Londi. Dopo la laurea nel 2001 in “Visual Arts” presso la University of Western Ontario in Canada, nel 2003 è testimonial del Pescara Dance Festival che le intitola il “Premio Atzori”. Ha danzato alla cerimonia di apertura delle Paraolimpiadi di Torino 2006 e partecipato a molte trasmissioni televisive in Italia e all’estero.
Sul Titano si è esibita sul palco del Teatro Nuovo di Dogana nello spettacolo “Trittico” di Paolo Londi, con la compagnia del Pescara Dance Festival. L’abbiamo incontrata durante le prove.
Ti sei avvicinata alla pittura a 4 anni e a 6 alla danza. Quando hai capito che l’arte era la tua professione?
“Ho respirato la pittura e la danza fin da bambina e sognavo che diventassero una parte importante di me, però forse solo adesso mi rendo conto che sono una parte fondamentale della mia vita. Credo di non essere stata io a scegliere loro ma loro a scegliere me, dandomi l’opportunità di esprimere tutta me stessa.
La pittura attraverso colori, forme e linee mi aiuta a tirar fuori il mio mondo, le mie emozioni, il mio vissuto, i momenti belli e quelli difficili. La danza, attraverso il movimento e la musica è il tramite tra il mio piccolo mondo e quello degli altri: è uno scambio di emozioni reciproco che crea qualcosa di ancora più grande sul palco.”
La difficoltà più grande?
“Lo scetticismo delle persone, che non credevano potessi arrivare a livelli così importanti nella danza. Per la pittura è stato più facile, faccio parte dell’Associazione internazionale dei pittori che dipingono con la Bocca e con il Piede, che riunisce tanti pittori nel mondo che dipingono in questo modo. La danza, invece, è stata una sfida: non ce ne sono poi tante di danzatrici senza braccia! Quindi, con la mia famiglia e il coreografo Paolo Londi, abbiamo dovuto imporci ma non con prepotenza, semplicemente amando la danza e portando avanti quello in cui abbiamo sempre creduto senza farci abbattere dagli altri.”
Chi ti ha sostenuta?
“La famiglia mi ha sostenuta emotivamente, Paolo Londi ha creduto nelle mie capacità artistiche. Insieme abbiamo affrontato questa che per gli altri è una sfida, per noi invece è il nostro modo di intendere e amare la danza, portando avanti anche dei messaggi che vanno al di là della danza stessa.”
Che peso ha il pregiudizio?
“Mi accompagna da sempre, ma come credo in fondo accompagni la vita di tutti in ogni fase, perché le persone vengono a vedere lo spettacolo per la curiosità di vedere una ballerina senza braccia, pensando che applaudiranno perché è bello quello che fa per il modo in cui lo fa, così come quando vedono i miei quadri, all’inizio li giudicano belli per il modo in cui sono dipinti. Poi invece avvicinandosi alla mia arte, la trovano bella in quanto tale e non per il modo in cui è stata fatta.
Il mio obiettivo è proprio far sì che la gente apprezzi la mia arte in quanto tale: dipingere coi piedi e danzare senza braccia non deve aggiungere e togliere niente. È importante «educare» le persone a vedere al di là delle apparenze e dei limiti perché apprezzino quello che vedono per quello che è e non per quello che hanno pensato prima.”
Hai vissuto e studiato in Canada per 5 anni: quali differenze nel clima che si respira?
“L’esperienza in Canada è stata straordinaria. È un paese culturalmente molto più aperto agli altri e a considerare la persona in quanto tale. Questo mi ha dato la libertà di esprimermi in tutti i modi. Per me è stata una scoperta grandiosa, che ho cercato di riportare con me in Italia. Questo considerare le persone valide in base a quello che mi dicono mentre me lo dicono o mentre danzano, quindi senza il «pre- giudizio», è fondamentale. Abbiamo in Italia qualcosa di speciale, ma spesso ci fermiamo a quello che pensiamo senza guardare oltre.”
Quando si parla di disabilità, il mondo della danza si divide tra danza- terapia, danza non terapia, danceability. Cosa ne pensi?
“Conosco tanti che fanno danceability e li apprezzo molto. Ma il messaggio che voglio portare avanti io è diverso: per me la danza non è terapia, è arte. Quando danzo la gente dimentica che non ho le braccia, vengono a vedere una fusione di gambe, di corpi e tutto il resto sparisce. La danza ha il potere di dare emozione al di là di come viene fatta.
Quando ho aperto le Paraolimpiadi di Torino, danzavo con un partner e nel valzer finale tutt’intorno c’erano ragazzi in carrozzina e non che danzavano: alla fine non importava più chi era seduto e chi no, importante era la magia che si era creata con la musica, le luci, l’abbraccio delle persone intorno.
Non è importante come fai una cosa ma è importante che tu lo faccia con tutto te stesso e che usi tutta la tua professionalità. Con la compagnia ci teniamo a mantenere un alto livello, proprio perché chi viene a vedere lo spettacolo deve avere davanti una compagnia a tutti gli effetti.”
Cosa puoi dire ai giovani?
“Tutti abbiamo bisogno di credere in noi stessi, non è vero che chi ha una particolarità fisica ha più bisogno degli altri, anzi a volte forse è il contrario. Tutti abbiamo bisogno di imparare ad amarci e capire che tutto quello che abbiamo è abbastanza per scoprire ciò che ci appassiona ed esprimerlo e a quel punto non c’è limite che tenga. A i ragazzi dico di guardarsi dentro e trovare il loro sogno: è il sogno che ti spinge ad andare avanti e a non fermarti di fronte a chi ti dice «no!». Non lasciate agli altri la possibilità di vedere in voi dei limiti che non sentite di avere perché i limiti sono barriere deleterie che vanno sconfitte per vedere cosa c’è dietro: solo così ci si può arricchire e vivere al massimo la vita.”
Che rapporto hai con la fede?
“Ho un rapporto diretto con Dio. Dio mi ha creata e disegnata come sono perché fossi esattamente così, per cui la vita per me è un grande dono”.
Cos’è la diversità?
“Una ricchezza. Tutti noi siamo diversi. Se fossimo tutti uguali probabilmente il mondo non esisterebbe perché tutti con la nostra diversità abbiamo contribuito a crearlo. La diversità è la ricchezza di ognuno perché ci rende unici: pensando che chi è vicino a noi è diverso da noi e speciale come noi, allora la diversità diventa una risorsa cui attingere per capire qualcosa della nostra vita e dare qualcosa a noi e agli altri”.
I tuoi prossimi progetti?
“A luglio, il Pescara Dance Festival dove danzerò coi ballerini della Scala e darò il premio Atzori alla prima ballerina della Scala Sabrina Brazzo. Poi al “Simona and Friends” danzerò con grandi primi ballerini tra cui quelli della Scala. Un grande progetto a cui sto lavorando è un libro che racconta la mia vita”.
Hai realizzato i tuoi sogni?
“Ne ho realizzati tanti. Il più grande è continuare a fare quello che sto facendo senza perdere l’entusiasmo. Non voglio che questa che ormai è la mia professione diventi un “lavoro” fatto di routine, vorrei che ogni volta che salgo sul palco sia come la prima volta, questo è il sogno più grande che mi posso augurare di raggiungere sempre”.

Romina Balducci