Home Vita della chiesa Il Credo, ovvero: tutto il nostro sì a Dio

Il Credo, ovvero: tutto il nostro sì a Dio

“Ti amo”. Quando lo dici veramente, in soli cinque caratteri “ci stai tutto”: la tua libertà, volontà, affetti e ragione; la tua carne e lo spirito; la tua casa, il tuo lavoro, amici, genitori, figli; tutto il tuo passato, il presente e tutto ciò che sarà di te. Un vero condensato!
Professare la fede è la stessa cosa. Il Credo, la formulazione autorevole della professione di fede, altro non è che il condensato del tuo “sì” a Dio dopo averLo ascoltato nelle Scritture; è il “sì” della Chiesa-Sposa al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e alla loro opera nella storia, che tutt’ora continua; è confessare apertamente che Dio è il senso della tua vita; in altre parole, è la scelta pubblica e solenne di essere cristiani (Ordo Generale Messale Romano, 67.55). Il momento è così solenne e vitale per la vita di un cristiano, che fin dai primi secoli i catecumeni (coloro che devono ancora ricevere il battesimo) vengono fatti uscire; così come nessuno dice «ti amo» sotto gli occhi degli estranei.

Recitare il Credo durante la Messa, però, non è solo risposta a Dio che interpella nella Parola, ma anche preparazione ai Misteri della fede prima di celebrarli sull’altare: il Padre dona il Figlio e lo Spirito Santo per la nostra salvezza e a gloria del suo Nome (Catechismo Chiesa Cattolica, 1066-1068; OGMR, 67). Un momento cioè in cui si prende meglio coscienza della grandiosità di ciò che sta per compiersi.
La professione di fede (dal latino profiteri: pro=davanti, fateri=confesso, dichiaro apertamente) è chiamata con diversi nomi. Anzi tutto, semplicemente Credo, a motivo della prima parola e dell’atto che esprime, cioè il credere come abbandono fiducioso e totale a Dio (credere in) e alle verità che ha rivelate (credere a).

Dal IV secolo la professione di fede è anche chiamata Simbolo (dal greco symbolon: syn=insieme, ballein=gettare), che anticamente indicava un segno di riconoscimento fatto di due pezzi che si incastrano a mò di puzzle (gettati insieme), come i pezzi di un sigillo rotto; posseduti da persone diverse, funzionavano come una carta d’identità, come per esempio tra co-proprietari o per gli operai quando andavano a riscuotere la paga. La professione di fede è chiamata quindi simbolo perché serviva ai cristiani come mezzo di riconoscimento tra loro, anche perché veniva trasmessa segretamente e solo ai catecumeni.

Il Credo è anche chiamato Regola della fede o Regula veritatis, dall’uso che si faceva del “regolo” (l’asticella che funzionava come unità di misura) per significare che ogni fede personale deve “misurarsi” con il “regolo” del Credo per verificare la sua veridicità (ortodossia). Il Credo deve essere quindi il primo strumento della catechesi.

La professione di fede non è una collezione di affermazioni, ma piuttosto un’articolazione delle verità di fede, nel senso che esse possiedono una profonda unità interna. Il Credo è infatti costituito da articoli di fede, a imitazione delle articolazioni del corpo umano, grazie alle quali esso vive e si muove: le articolazioni sono distinte, ma non separabili, perché vivono solo se unite al corpo, che costituisce la loro unità. Così il Credo e i suoi articoli di fede.

Ma come è nato e chi l’ha composto? Anzi tutto, le professioni di fede non sono una novità cristiana, ma ci provengono dalla radice ebraica della nostra fede. Nell’Antico Testamento troviamo infatti diversi “condensati” della fede di Abramo (Dt 26,5-11; Gs 24). Le prime professioni di fede cristiane ci vengono addirittura dagli interlocutori di Gesù, che lo riconoscevano «Signore» e «Salvatore»; successivamente, derivano dall’esperienza missionaria della Chiesa, proiettata nell’annuncio del kerigma, il cuore della fede: Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per tutti! Ad esse sono seguite le riflessioni sulla Scrittura alla luce di Cristo, operate dagli apostoli, soprattutto da san Paolo, che hanno così offerto una pluralità di professioni di fede (Rm 1,3; 10,9; 1Cor 12,3; At 3,13ss; Mt 28,19).
Il Credo che noi professiamo, tuttavia, non nasce da elucubrazioni teologiche, bensì dalla vita e, in particolare, dalla liturgia battesimale, in cui ai catecumeni erano poste tre domande ben precise: “Credi in Dio Padre? Credi in Gesù Cristo? Credi nello Spirito Santo?”. Da qui la struttura tripartita del Credo. La vita presentava inoltre la necessità della catechesi ai neo-battezzati e di far fronte agli eretici, per cui il primo nucleo della professione di fede («Credo in Dio Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo») andò via via precisandosi fino alle formulazioni che oggi possediamo.

Il Credo che oggi usiamo (niceo-costantinopolitano) entra nella Messa solo nel VI secolo. È obbligatorio la domenica e nelle feste ed è cantato o recitato in piedi da tutto il popolo (sacerdote e fedeli) (OGMR, 68.43); alle parole e per opera dello Spirito Santo… ci si inchina profondamente e il 25 marzo (Annunciazione) e a Natale ci si inginocchia (OGMR, 137). Il latino è consigliato quando l’assemblea è di diverse nazionalità, per sottolineare l’unità della fede (OGMR 41).

Veniamo a noi. «Tu credi?» chiedo spesso ai cristiani. «Sì, credo che c’è Qualcosa» mi sento a volte rispondere. Con pazienza devo allora spiegare al mio interlocutore che credere che Dio esiste non è fede; basta la ragione per questo. Credere è tutt’altra cosa. Devo confessare che trasmettere la fede a chi non ce l’ha non è difficile (perché è principalmente dono di Dio!); spiegare invece a chi è convinto di avere la fede cattolica, che quella non è fede, vi assicuro che è davvero un’impresa!

Elisabetta Casadei

* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).