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I Templari della Rimini meno solare

ochi sanno che la solare Rimini nasconde in realtà una storia ricca di avvenimenti affascinanti e misteriosi. Ariminum, infatti, base strategica dei romani fu, nel medioevo, dislocamento dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Gesù, più noti come Templari.
“Purtroppo la storia dei templari è stata accompagnata, negli anni, da troppe ingerenze che hanno creato una corrente leggendaria parallela a quella storica” puntualizza la dottoressa Alessandra Peroni, che sul passaggio dei Templari a Rimini ha tenuto un incontro. L’esempio di San Michelino in Foro. “Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, per esempio, il pensiero romantico andava esaltando il mito dei Cavalieri Templari, mitizzandolo, mentre con la Restaurazione l’Ordine fu demonizzato”. Per tutte queste ragioni, ricostruire la storia dei Cavalieri Templari non è semplice. Quel che è certo, è che l’ordine nacque nei primi anni del XXII secolo e che si originò dai cavalieri crociati, coloro che, per volere di Papa Urbano II, nel 1095 partirono in Guerra Santa per la liberazione del Santo Sepolcro. Dunque, almeno in origine, i Templari erano fedeli che provenivano dall’aristocrazia militare. “Conducevano una vita da frates, ma con una regola anti-ascetica. Avevano la mitezza dei monaci e il coraggio dei guerrieri”, prosegue la Peroni. Poi, con Papa Innocenzo III, l’ordine inizia ad aprirsi ad altre persone, non necessariamente cavalieri: oltre ai milites, c’erano i frates servientes, e i confrates, ovvero semplici associati all’ordine. E la sede dell’Ordine era sempre affiancata da una chiesa.
La presenza dei cavalieri Templari a Rimini è ipotizzata nella II metà del XXII secolo, e il luogo dove i Poveri Cavalieri di Gesù “riminesi” pregavano prima di partire in missione era San Michelino in Foro.
Oggi San Michelino in Foro, per i più, è solo il nome della stradina che collega le vie Mentana e IV Novembre a piazza Tre Martiri. Le poche vestigia dell’edificio religioso, infatti, sono inglobate da costruzioni moderne, e visibili solo entrando nel cortile del condominio di via IV Novembre. Della Chiesa rimane soltanto parte dell’abside con qualche frammento di affresco. Ma la Chiesa risale al V secolo e sicuramente fu tra i primi luoghi cristiani entro le mura di Rimini.
I primi documenti riguardanti San Michelino non risalgono oltre il XII secolo, proprio quando divenne proprietà dei Cavalieri del Tempio e restò tale fino alla soppressione dell’ordine, nel 1312. Notizie di Templari in Romagna si hanno già all’inizio dell’anno Mille. La prima chiesa templare in Italia, infatti, pare sorga a Piacenza, proprio sulla via Emilia (1160). La “magione” dei Templari insediati a Rimini, invece, era negli edifici circostanti la chiesa di San Michelino in Foro e poche altre sono le notizie che si hanno dei leggendari Cavalieri in riviera. Nel 1311, anche i Templari di San Michelino furono processati e i loro beni pignorati, compresa, appunto, San Michelino e le sue suppellettili sacre. Le commissioni inquisitorie, che l’arcivescovo di Ravenna Rinaldo da Concorezzo affidò ai Frati Minori, assolsero però i Templari dalle accuse, condannando al contempo l’uso della tortura per estorcere confessioni: quello per i Templari riminesi fu un processo equo. Un caso unico nella drammatica persecuzione scatenata da Filippo il Bello contro l’Ordine. I beni dei Templari romagnoli, quindi, passarono all’ordine di San Giovanni Evangelista. La cessione è attestata dal Documento di Nonantola, mappa di possedimenti datata 1312, che traccia una serie di luoghi sacri passati dall’Ordine dei Templari a quello di San Giovanni. Dalla mappa emerge che i possedimenti distavano 20 o al massimo 30 km l’uno dall’altro, una distanza percorribile a piedi in un giorno da un pellegrino, e partono da Faenza e arrivano a Rimini, proprio a San Michelino in Foro. Quindi, indirettamente, il documento conferma l’appartenenza della Chiesa di San Michelino all’Ordine dei Templari. In seguito, San Michelino in Foro, rimase all’ordine dei Giovanniti fino alle soppressioni napoleoniche del 1806.

Genny Bronzetti