Home Storia e Storie I prefissi: analisi semiseria delle parole

I prefissi: analisi semiseria delle parole

Nel libro Il Salvagente – Parole e vignette in libertà (ed. Tuttostampa – Rimini 2001), scritto a quattro mani, con mio figlio Claudio, io avevo fatto una disquisizione (!?) sui prefissi.
I prefissi, come tutti sanno, sono quelle lettere che vengono premesse alla radice di un nome e fanno cambiare il significato di una parola. In quel libro avevo fatto parecchi esempi, ma non mi ero soffermato sul prefisso pro.
Oggi però, considerato che stiamo vivendo momenti difficili, per ragioni finanziarie, economiche o del lavoro (Spending Review, esodati, disoccupati ecc), politiche e giudiziarie (la Regione Lazio, il commissariamento del Comune di Reggio Calabria, ecc), religiose (Vatileak), sportive (scommessopoli, cittadinanze fasulle ecc), ho cercato di colmare quella lacuna (chiedendo scusa per i tanti etc. etc.).
Tralasciando il pro-nome, che essendo uno stakanovista dovrebbe essere conosciuto da tutti, mi sembra opportuno esporre qualche caso esemplare:

Pro-babile. Si intendeva parlare di un fatto o avvenimento che si ammette in base a seri motivi (i quali però non costituiscono vere prove). Per cui da babile, che si dice derivi da Babilonia, oggi in Italia qualsiasi programma o provvedimento che dovrebbe migliorare la nostra vita, viene studiato, discusso, votato, stravolto, contestato, rinnegato e finisce in confusione.

Pro-biviro. Il biviro doveva essere un individuo poco raccomandabile se gli hanno affibbiato il prefisso. Ed era così diventata una persona che godendo di particolare stima e prestigio, veniva chiamata a far parte di giurie, commissioni, collegi, ecc con l’incarico di giudicare dell’andamento di una istituzione, di dare consigli, pareri, giudizi.
Non ne esistono più. O sono stati irregimentati nei partiti e sono ritornati ad essere solo biviri.
Pro-cacciare. La caccia un tempo veniva fatta per procurarsi il cibo e per sport (in tal caso non è accettata dalla maggioranza degli italiani). Col prefisso è diventata una parola che significa cercare o trovare modo di provvedere qualche cosa a sé e agli altri. Era inutile aggiungere il prefisso, perché nel nostro bel paese (in minuscolo) molti danno la caccia solo al potere, al denaro, al protagonismo.

Pro-capite. Capite deriva dal latino caput, “capo, testa, per ciascuno”. Ma se si diceva caput census significava “censito per persona”, cioè chi non possedeva beni e veniva censito solo per la propria persona.
Moltissimi sono oggi i capite-census, mentre col prefisso, pro-capite è stato interpretato dai furbi e dagli approfittatori che tutto quello che capita di buono, di valore, di ricchezza non è per la collettività ma per sé stessi.

Pro-cesso. Il cesso, noto in Romagna anche come latreina, lucòmud (o, più volgarmente, cagadur), è il posto nel quale per esigenze fisiologiche spesso si deve correre perché vari problemi a volte non ti danno tempo. Col prefisso si ha invece così tanto tempo, che prima di avere giustizia si può non solo invecchiare, ma anche morire senza conoscere l’esito della causa.

Pro-gresso. Gresso anticamente era un uomo che per sopravvivere mangiava i frutti degli alberi e le erbe commestibili. Poi ha scoperto che gli piaceva di più la carne e, come prede, ha assalito altri animali per mangiarli.
Col solito generoso prefisso, si è erudito e ha inventato l’elettricità, la radio, gli aeroplani e soprattutto la televisione.
E così, pagando un canone, possiamo assistere alle esibizioni delle veline e delle miss, ascoltare le promesse e le bugie dei parlamentari, essere informati sull’aumento del costo della vita e della martellante, incessante, esasperante invasione della pubblicità. E con l’avvento del digitale, senza prefisso ma col decoder, possiamo leggere magiche parole: mancanza di segnale.
Finisco qui, lasciando ad altri il piacere di maneggiare parole come prologo, problema, profeta ecc.

Amos Piccini