Home Storia e Storie Don Carlo Tonini, suo il primo treno…

Don Carlo Tonini, suo il primo treno…

Lungimirante, battagliero e sempre al fianco dei più deboli, ha lottato alacremente per ottenere la fermata del treno Bologna-Ancona a Riccione. In occasione del 150esimo anniversario di questo avvenimento, don Carlo Tonini, classe 1807, viene ora ricordato con cerimonie, incontri e pubblicazioni, inserite nel cartellone di Riccione90. Tanti sono, infatti gli anni trascorsi da quel 1922, quando con Regio decreto di Vittorio Emanuele II e Benito Mussolini le frazioni di Riccione e San Lorenzo ottennero l’autonomia da Rimini, fondendosi in un unico comune.

Un prete di frontiera
Non è un caso che l’arciprete Tonini sia passato agli annali della storia locale come pioniere del turismo riccionese. Con la fermata del treno, proprio agli albori dell’Unità d’Italia, il parroco di San Martino apre la porta a migliaia di bambini scrofolosi che, per guarire dalla malattia tubercolare, hanno bisogno di un breve soggiorno al mare, ricco di iodio. Al seguito dei piccoli ospiti, “seme” del turismo sociale, arrivano, assistenti, medici e altre persone che, sempre più innamorate del piccolo borgo, cominciano a frequentarlo e a comprare i primi villini per le vacanze estive. Queste e altre iniziative del parroco sono riportate nel nuovo libro di Giuseppe Lo Magro, intitolato Il Don, il Conte e il Giardiniere, vita, morte e miracoli di Carlo, Giacinto Martinelli e Giuseppe Angelini (edito da Famija Arciunesa), pubblicazione che, con decine di foto e vignette di Izzul (Luciano Luzzi), riporta anche altre “pillole” di storia e dati dell’epoca.

Cenni biografici
Nato a Rimini nella parrocchia di Sant’Agnese, il 12 agosto 1807, da Rosa Mercatelli e Francesco Tonini, don Carlo Tonini era il secondogenito di quattro figli. Rimasto orfano a nove anni, viene tolto dalla strada da don Gaetano Frioli che convince il vescovo monsignor Valfardo Ridolfi ad accoglierlo in seminario. Il ragazzo si immerge negli studi con tutte le sue forze, finché diventato prete, a 27 anni, viene nominato parroco di San Marino, a Riccione. Cinque anni di servizio, dal 1832 al 1837, in un periodo tutt’altro che facile e tranquillo. Poi, non si sa per quali ragioni, lo richiamano a Rimini. È solo una parentesi. Undici anni dopo, nel 1848, gli viene riconsegnata la stessa parrocchia riccionese, dove rimane fino al 1878, anno della sua scomparsa.
Per il parroco di frontiera gli anni trascorsi a San Martino sono caratterizzati da un intenso impegno sociale, anche se di fatto il Paese nel 1860 conta appena 1.135 abitanti, che vivono soprattutto di agricoltura e di pesca. Si stimano 110/120 marinai, tra l’altro in difficoltà, perché Riccione è senza porto. Don Carlo tenta pure di realizzare quest’opera, ma non riesce a trovare i soldi necessari. Ci riuscirà diciannove anni dopo la sua scomparsa la Ceccarini, altra figura di spicco della storia di Riccione. A suo marito, Giovanni, è intitolato l’ospedale.

Il Don e il suo
contesto storico

Come ricorda in il riccionese Alberto Ciotti in un breve excursus, pubblicato da Famija Arciunesa, quel periodo (siamo intorno al 1850) è caratterizzato da “mutamenti di ordine economico e sociale, tali da far cadere in profonda crisi l’economia extragricola della parrocchia. La popolazione è concentrata nella fascia a mare e soprattutto lungo la via Maestra (ossia la vecchia Flaminia, ora Corso Fratelli Cervi), dove si trovano tre locande e le stalle per il cambio dei cavalli. Attività legate all’indotto commerciale delle produzioni dell’entroterra”. Riccione è in posizione strategica, fuori della cerchia urbana, è il passaggio obbligatorio di tutte le merci che viaggiano sulla Flaminia dal nord al sud. Lunghe percorrenze che obbligano il cambio dei cavalli.
C’è fermento anche in agricoltura, secondo il catasto Calindri si imponevano le imposte al terreno non in base al reddito, ma alle redditività potenziali, cosa che costringeva i grandi proprietari terrieri ad aumentare le produzioni e a bonificare le ultime paludi a monte della strada consolare. Intanto i “casanoli” bonificano la piana della Colombarina e quella di Fagnano. II predecessore di don Tonini, don Pietro Grandicelli, attorno al 1830 censisce 800 persone, il successore, Don Luigi Bugli, 1300. Nel frattempo la mortalità infantile si dimezza del 50%, la vita media si allunga e la nuova borghesia locale timidamente si affianca all’aristocrazia terriera riminese.
Don Tonini riprende la parrocchia alla fine di questo periodo. Sostituisce don Antonio Fiorani Ronci, finito in un vortice di scandali. Arriva poi l’instabilità politica e il brigantaggio che rallentano i traffici, mentre diversi naufragi con vittime fanno maturare nei marinai la convinzione che sia meglio lavorare altrove. La foce del Melo non dà garanzia, i mercati danno segno di flessione e la fine delle bonifiche lascia i “casanoli” senza lavoro continuativo. Il colpo mortale arriva nel 1861, quando la ferrovia, taglia fuori Riccione e fa crollare il lavoro lungo la Flaminia.

Don Carlo e
il convoglio a vapore

Don Tonini non s’arrende e comincia a battersi con i suoi parrocchiani per la fermata del treno.
Come riporta anche il libro Origini e sviluppi di un centro balneare di Giuseppe Borghi (1935 e riedito nel 2002 Famija Arciunesa), inizia a bussare alle porte di personalità influenti, anche a Bologna, Ancona e Roma, finché il primo gennaio 1862 il sogno si realizza. La fermata permanente, si sa, dipende dal numero dei viaggiatori. E allora il perspicace sacerdote mette in campo il suo stratagemma. Come raccontano gli anziani del posto, il don per diverse settimane viaggia di tasca sua avanti-indietro in treno tra Rimini e Riccione per incrementare la vendita dei biglietti ferroviari e dimostrare la necessità di una fermata intermedia.
Don Tonini, forte della sua fede e del suo spirito umanitario, comincia così a organizzare le vacanze per i piccoli ospiti, affetti dalla malattia tubercolare, molto diffusa in quegli anni. Ad accoglierli nelle case, come accade tuttora con i bambini di Chernobyl, sono gli stessi riccionesi.
L’opera di don Tonini va oltre. Sempre con l’obiettivo di portare i bambini al mare, forma un comitato ad hoc, sulla scia di quelli nati in Emilia. Ne diventa vicepresidente, prende contatti con Bologna e nell’estate del 1867 porta a Riccione i primi cinquanta bambini scrofolosi. La retta è di 2,30 lire giornaliere che comprendono il trasporto in spiaggia su carri trainati dai buoi, lungo la carraia Viola (ora viale Ceccarini) e dell’Insegna (ora viale San Martino). Assistente e animatore culturale è sempre l’instancabile don Carlo. Al gruppo di bolognesi ne segue un altro di 57 bambini, trattati con guanti bianchi, tant’è che l’ispettore inviato da Bologna, un tal dottor Verardini, rimane sorpreso dall’accoglienza dei riccionesi, che avevano affinato il loro senso di ospitalità nei secoli, accogliendo viaggiatori e pellegrini lungo la Flaminia.
È così che, alla sua morte, il parroco viene definito “precursore del movimento dei ferrovieri”. Portano la sua firma i diari e un opuscolo del 1868 Cenni sul paese di Riccione e i suoi bagni marittimi.
Un particolare: mentre se ne riaccende la memoria, dell’arciprete si apre il giallo delle sue spoglie. Nessuno, pare, sappia dove si trovino. Se n’è parlato in questi giorni in un incontro cittadino al Centro della Pesa e durante le ricerche effettuate per la stesura del libro di Lo Magro. Del prete sembra non esistere neppure un ritratto.

Dalla locandina
alla lapide

Stampata dalla tipografia Albertini di Rimini nel 1961, ed esposta dal 13 al 24 ottobre al Palazzo del Turismo con altri documenti e foto del collezionista Armando Semprini, dello scomparso Jimmy Monaco e dei fotografi Epimaco (Pico) e Gianni Zangheri, una locandina del 1861 porta questa dicitura: “I riccionesi hanno ottenuto una Fermata del treno della Ferrovia presso il loro abitato col giorno primo Gennaro 1862. Essi si fanno pregio di portarlo a cognizione delle popolazioni dei vicini Paesi, perché possano giovarsi della graziosa concessione. Da canto loro offrono le migliori premure e si ripromettono che non mancheranno quelle opportune comodità che sono richieste dalla esigenza dei Viaggiatori”.
A distanza di 150 anni, lo scorso 29 settembre, il Rotary Club Riccione-Cattolica su iniziativa del past president Riccardo Angelini, ha ricordato questo straordinario personaggio, da portare come esempio anche alle future generazioni, con una lapide affissa all’interno della stazione. A benedirla, dopo l’ intervento di don Tarcisio Giungi, vicario episcopale per la Pastorale, è stato don Giorgio Dell’Ospedale. Nell’atrio gremito di gente, tante autorità civili, militari e delle ferrovie, a partire dal sindaco Massimo Pironi e da Maurizio Parma, presidente Rotary Club, che a don Tonini ha dedicato un incontro con Fosco Rocchetta, scrittore e già direttore della biblioteca comunale, e Armando Semprini, ricercatore e collezionista. Assente il successore di don Tonini, don Maurizio Fabbri, impegnato a officiare un rito funebre.

Nives Concolino