Cosa mettiamo dentro al piatto?

    Siamo consapevoli di quello che c’è nel nostro piatto? Appena fuori dalle acque territoriali dell’Adriatico, le cosiddette tonnare volanti, enormi flotte che pescano tonni in continuazione senza mai fermarsi, catturano pesci, li ingrassano e li spediscono freschi in Giappone.
    Nei sushi bar di Tokio scorrono prelibatezze preparate con tonno rosso fresco pescato al largo di Rimini. E nel nostro piatto, invece? Da dove vengono le carni, le verdure, e tutto quello che mangiamo? E i pomodori cinesi, tanto esecrati, sono così cattivi? E perché? La millenaria cultura cinese è capace di grandi scoperte tecnologiche e culturali ma non è in grado di coltivare decentemente un pomodoro? Non è questione di integralismi. Ha il suo vantaggio vivere in un mondo che può portare sotto casa specialità e preparazioni di paesi lontani, ma deve rimanere in ogni caso una scelta consapevole. È un diritto del consumatore sapere se il filetto che sta mangiando è di razza chianina allevata nelle colline del Montefeltro, oppure se invece è un Angus argentino o scozzese. Ed è un suo dovere informarsi.

    Il cibo: tra business e piacere
    Il cibo coinvolge numerosi aspetti della nostra quotidianità. Ciò che mangiamo influisce sulla nostra salute, sulla sfera del piacere e pesa anche in modo considerevole sulla nostra economia. Mangiare consapevole conviene per molti motivi: umore e salute in testa, ma, a differenza di quello che si può pensare, il buon mangiare può fare anche risparmiare. Ciò che mettiamo in tavola, poi, condiziona profondamente l’ambiente in cui viviamo. Secondo il rapporto del World Watch Institute per produrre un chilo di carne occorrono circa 108 metri cubi d’acqua. In questo calcolo è contato l’utilizzo dell’acqua per irrigare le coltivazioni destinate al mangime, il consumo dell’animale, la pulizia delle mangiatoie e delle stalle e tutta quella necessaria alla lavorazione e al mantenimento del processo del freddo, indispensabile alla conservazione. Per non parlare di tutte le risorse che occorrono per spostare le merci e i beni da un capo all’altro del mondo. E il cibo “industriale” non ha consumi minori, anzi. Tutte le operazioni di raccolta, vendita agli intermediari, stoccaggio, trasporto e vendita al minuto comportano una continua movimentazione della merce, col relativo costo aggiunto.
    Se ora riguardiamo quello stesso piatto che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ci apparirà sicuramente diverso. Ci rendiamo conto che ha un costo diverso da quello che paghiamo alla bottega o al supermercato. Questo è già un primo passo nella consapevolezza del piatto, ma ci sono anche aspetti più “egoistici” e non solo legati all’ambiente, e cioè la qualità di quello che mangiamo. È ovvio, per tornare al paragone col pomodoro cinese, che un pomodoro coltivato in un orto riminese arriva sulle nostre tavole dopo molta meno strada che un pomodoro cinese. E il fatto che spesso il pomodoro che ha viaggiato di più costi anche di meno la dice lunga sulla sua qualità. Sappiamo, poi, quali sono le regolamentazioni a cui deve sottostare un produttore italiano (anche se non sempre vengono seguite), e non sappiamo nulla di quelle di paesi lontani.
    In questo senso si inseriscono numerose iniziative che negli ultimi anni hanno attecchito anche nella realtà territoriale riminese: il kilometro zero, i farmers market e i Gas, per citarne alcuni.

    L’intervista
    Michele Marziani è uno scrittore che da molti anni si occupa di territorio, enogastronomia e identità. Dal 2008 è autore di una trasmissione in onda su Icaro Rimini Tv dedicata proprio al chilometro zero e alle realtà produttive della provincia di Rimini e dintorni (quando si parla di territorio e identità è difficile rinchiudere la geografia nei confini amministrativi).
    “Con kilometro zero, o meglio con l’agricoltura di prossimità si intende il poter mangiare bene con quello che si produce intorno a casa. Produttori locali, quindi, che lavorano, mettono la loro faccia e preparano un prodotto che subisce poche intermediazioni, perché lo si va a comprare direttamente a casa loro o nei mercati dove loro stessi lo vendono”.
    Se ne parla sempre più spesso, ormai, merito anche dei bravi produttori che portano avanti piccole aziende con grande caparbietà e con l’idea di tirare fuori dalla terra un prodotto gustoso e genuino.
    Ma qual è stato l’impatto del kilometro zero sulle persone?
    “Negli anni il fenomeno è indubbiamente cresciuto, anche se in modo un po’ elitario. Compra a chilometro zero chi può fare i conti più liberamente. La maggior parte delle persone, quelle che sentono il peso della crisi sulle spalle, non si sono avvicinate a questa filosofia e continuano con la spesa al supermercato”.
    C’è un luogo comune da sfatare. Un credo che, se per certi versi giustificato in determinate circostanze, non è però sempre vero: più un prodotto costa più è buono. La qualità si paga sempre salata?
    “Non è vero che i prodotti genuini e preparati con più attenzione siano più cari. È vero che la grande produzione abbatte i prezzi, ma è anche vero che nel piccolo territorio il produttore locale ha molto gioco nel creare il suo prezzo”.
    Fogli alla mano, confrontiamo il prezzo di un chilo di mele prese al mercato coperto di Rimini con un chilo di mele di un grande supermercato. Risultato? Mercato locale 1,19 euro, grande distribuzione 1,34. Com’è possibile?
    “È possibile se la spesa si orienta sui prodotti di stagione. Non c’è guerra al supermercato per i prodotti di serra, o di nicchia o esotici. Ma sul locale sì. Un prodotto che ha viaggiato meno, è stato coltivato con più attenzione, è più buono e saporito costa anche meno”.
    Viene quasi da chiedersi dove sia la fregatura.
    “L’unico valore aggiunto richiesto è il tempo. Fare la spesa al supermercato è sicuramente più veloce che andare al mercato del fresco, o ai farmers market a cercare la qualità. Ma è giusto rendersi conto che è solo una questione di approccio alla spesa. Si può mangiare benissimo spendendo poco, o comunque il giusto. Senza svenarsi. Non è una questione di prezzi reali, ma l’idea ormai radicata che al supermercato si spenda sempre e comunque di meno”.
    Insomma, variano le formule, ma il fine è lo stesso: entrare in contatto diretto col produttore, conoscerlo per sapere cosa stiamo mangiando, e con l’idea di trovare nel piatto un prodotto buono, genuino e saporito. Perché mangiare è sempre più un piacere, oltre che una necessità.

    Stefano Rossini