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“Rischio di bomba sociale”

SUPERBONUS. L’agevolazione del 110% (oggi 70%) ha sempre più ombre. L’incertezza sui crediti rischia di essere fatale per molte famiglie e imprenditori

Le morti sul lavoro non sono “solo” quelle frutto di incidenti e tragiche fatalità. Le morti sul lavoro sono anche quelle di chi si trova talmente schiacciato dalle difficoltà da non riuscire più a intravedere una via d’uscita, arrivando a compiere il più estremo dei gesti.

A Rimini, purtroppo, il tema è noto, come racconta la recente attualità, con il drammatico caso dell’imprenditore che ha deciso di togliersi la vita nel porto riminese.

Tra gli elementi che, negli ultimi anni, hanno portato la maggiore pressione sulle realtà imprenditoriali (e non solo) del Paese c’è sicuramente il Superbonus. Nato nel 2020, lo strumento prende vita da una buona intuizione, ossia incentivare la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare in tutta Italia stimolando allo stesso tempo la ripartenza di un settore, quello dell’edilizia, che si trovava quasi completamente fermo a causa della pandemia. In poco tempo, però, l’agevolazione del 110% ha provocato effetti avversi e controindicazioni, come un sensibile effetto “dopante” sul mercato, con rapidi rincari dei prezzi e dinamiche speculative.

Il Superbonus comincia a pesare sempre di più sulle casse dello Stato, tanto da spingere i governi successivi a continue modifiche e correzioni che, però, hanno l’unico effetto di complicare sempre di più il contesto normativo, con pesanti conseguenze su imprese e famiglie. Fino ad arrivare alla stretta attualità, che rischia di dare a molte di loro il colpo di grazia.

Il Superbonus fino a oggi

Come detto, dalla sua introduzione nel 2020 il Superbonus ha cambiato volto in numerose occasioni. Per sintetizzare, nel 2022 le banche iniziano a esaurire la propria capacità fiscale e ad acquisire meno crediti, provocando i primi problemi di liquidità per le imprese e, in generale, rappresentando uno dei primi momenti in cui il meccanismo si è inceppato. Passa il tempo e il peso sui conti pubblici aumenta sempre di più, portando il Governo a cambiare la misura in modo evidente: l’agevolazione passa dal 110% al 90% nel corso del 2023, per scendere fino al 70% a inzio 2024 (con un ulteriore discesa al 65% prevista per il 2025). Un intervento per dare respiro alle casse dello Stato, sicuramente, ma che acutizza i problemi già presenti per privati e imprese.

Si arriva, proseguendo nella estrema sintesi, agli ultimi mesi e settimane, che hanno visto il Governo introdurre il definitivo divieto di optare per lo sconto in fattura e per la cessione dei crediti e (al momento di andare in stampa) all’obbligo di “spalmare” l’agevolazione in 10 anni e non più in 4, facendo diminuire ancora di più il valore dei crediti.

“Aziende in ginocchio per essersi affidati allo Stato”

La situazione, dunque, è difficile e caratterizzata da incertezza crescente.

E, come anticipato, le conseguenze rischiano di essere drammatiche non solo dal punto di vista economico, ma anche umano e sociale. Ne scatta una fotografia accurata in tal senso Marco Toni, Segretario della Federazione Nazionale Progettazioni, Costruzioni e Infrastrutture del CNL e presidente della cooperativa Fratelli è Possibile, in provincia di Rimini. “Le imprese stanno vivendo una situazione vergognosa per il solo fatto di essersi affidati alla legge dello Stato. Da sempre, com’è giusto e logico che sia, un’impresa pianifica sulla base della legge, che dovrebbe rappresentare un baluardo fisso, un pilastro che garantisce certezza e stabilità.

Questo, da quando nel 2020 è stato introdotto il Superbonus, non sta avvenendo”.

Ci spieghi.

“Il Superbonus è nato da un’intuizione buona, con importanti potenzialità, ma poi è stato sviluppato con strumenti non adeguati. Tra 2021 e 2022, con l’arrivo di Draghi, si è cercato di porre rimedio alle criticità della misura mettendo alcuni paletti, in particolare applicando il filtro dell’ISEE, ma in quella fase tutte le forze politiche, nessuna esclusa, hanno spinto per mantenere il bonus così com’era, in quanto ritenuta misura di qualità e dagli effetti positivi. Arriviamo a fine 2022, quando in vista delle urne tutti gli schieramenti politici, in particolare quelli che poi andranno al Governo, utilizzano il Superbonus addirittura come un vanto elettorale. Tutto cambia, però, con l’esito delle elezioni: per il nuovo esecutivo il Superbonus diventa improvvisamente un disastro e bisogna correre ai ripari per cambiarlo. Un atteggiamento schizofrenico che va avanti durante il 2023, quando la misura diventa oggetto di continue modifiche e proroghe: ad oggi il Superbonus, dalla sua introduzione, ha subìto cambiamenti per 39 volte. Come detto, un’impresa realizza la propria pianificazione e le proprie strategie prendendo come punto fermo la legge; inutile dunque sottolineare quanto sia deleteria per le aziende una schizofrenia normativa come questa”.

Con il colpo fatale arrivato quest’anno.

“Per cercare di mettere l’ennesima pezza su una misura che allo Stato costa troppo, pochi giorni prima di Pasqua, sostanzialmente all’improvviso, il Governo stabilisce che per i lavori realizzati nel 2024 con il Superbonus non sarebbe stato più possibile procedere con sconto in fattura e cessione del credito se non si fosse ancora fatta una fattura e relativo pagamento. Tradotto: in pochi giorni si manda in fumo tutta la pianificazione finanziaria di imprese che fino a quel momento avevano agito seguendo e affidandosi alla legge. Una follia”.

Fino ad arrivare allo “spalma crediti” in 10 anni di questi giorni. Come legge questa ulteriore misura?

“Auspicando che si torni sui propri passi per quanto riguarda la possibilità di cedere i crediti fiscali, chi sarebbe disposto oggi ad acquisire un credito che viene compensato in 10 anni, se non a un prezzo stracciato? Siccome lo Stato non ha i soldi decide di andarli a pescare dai crediti, ma le aziende per quei crediti si sono esposte, con le banche, con i fornitori, e ora si trovano a dover realizzare all’improvviso una nuova strategia per cambiare la propria politica finanziaria”.

C’è un elemento collegato e altrettanto delicato, che è quello umano. Qual è il rischio a livello di impatto sociale?

“Si rischia, purtroppo, una macelleria sociale. A Rimini la recente attualità ce lo ha tristemente dimostrato: se un imprenditore vive già delle difficoltà e si trova in condizioni di fragilità personale, misure normative come quelle raccontate possono diventare fatali e spingere anche ai gesti più estremi. E ammetto di provare un certo timore di essere solo all’inizio di una fase drammatica da questo punto di vista”.