Baby migranti dal cuore riminese

    Negli ultimi decenni il numero dei migranti nelle società occidentali è aumentato considerevolmente. Sono persone delle più diverse etnie, stati e condizioni che arrivano qui sole o con la famiglia con l’aspettativa di crearsi una nuova vita. Un aspetto sempre poco considerato dei movimenti migratori è quello dei minori. Infanti o ragazzi che hanno viaggiato insieme ai genitori e sono arrivati qui con loro, ma anche bambini nati in loco da coppie già formate o che si sono conosciute in Italia. Se a parole i diritti dei migranti devono sempre essere riconosciuti e rispettati, soprattutto ai minori, nei fatti capita invece che i più giovani siano abbandonati a loro stessi, senza che la famiglia riesca più a difenderli né a indirizzarli per il meglio, vittime di un apparato statale che quando va bene è solo distratto. Eppure, in un futuro non troppo lontano, questi migranti minorenni saranno cittadini a tutti gli effetti, ricchi di una cultura diversa, di abitudini e conoscenze ereditate anche dalla famiglia e dal paese di provenienza. Diventa quindi cruciale la loro integrazione negli anni più importanti della loro vita, quelli della formazione e dell’educazione.

    La situazione in Italia
    In Italia sono 850mila i minori immigrati, circa il 5% sul totale dei minorenni. E ogni anno crescono di 100mila unità. Il numero si attesta tra i minimi, in Europa, rispetto all’8-14% della Francia, il 10% dell’Inghilterra, il 15-17% dei Paesi Bassi e il 19% della Svizzera (secondo i dati del rapporto appena pubblicato da Unicef sui “Bambini di famiglie di migranti in otto paesi” tra cui, ovviamente, l’Italia).

    La situazione in provincia
    Qual è, invece, la situazione nel Riminese?
    I minori stranieri sono 5.227 (dati dell’ufficio Statistica della Provincia), un quinto degli stranieri totali. Anche in questo caso il numero è in costante aumento (+16% negli ultimi anni), e supera la percentuale di nuovi nati riminesi. Tra il 2007 e il 2008, infatti, la variazione di nascite della popolazione locale è stata del solo 2.3% contro il 36.7% di quella straniera che ha portato il tasso di crescita della provincia a poco più del 6%. Il dato interessante, però, è che poco più di 3mila, il 58% del totale, è nato in Italia, da famiglie residenti. Sono quindi immigrati di seconda generazione, che, a differenza dei genitori, vivono subito nel contesto culturale nuovo, pur sentendo l’influenza dei costumi e del modo di vivere della famiglia. I cittadini più numerosi – sempre come minori – vengono dall’Albania, seguiti dalla Cina e dal Marocco, ma non mancano altre nazionalità come Tunisia, Macedonia e Regno Unito. La maggior parte dei bambini non ha ancora 2 anni (oltre il 40%) e, in generale, per il 90% sono sotto i 10 anni.

    Tutti a scuola
    Nell’anno scolastico 2008/2009 sono stati 3.141 gli stranieri iscritti nelle scuole riminesi e hanno rappresentato il 9% degli iscritti totali, in aumento rispetto agli anni precedenti. L’incidenza varia a seconda dei diversi ordini: 5.3% nelle scuole dell’infanzia, 7.9% nelle scuole primarie, 11% nelle scuole primarie di primo grado e 8.8% in quelle di secondo grado.
    Al di là dei numeri, però, qual è la situazione di questi ragazzi-studenti? Ci aiuta a capirlo “Giovani delle terre di mezzo”, un’inchiesta svolta dalle associazioni Arcobaleno, Voce in Capitolo e Jacquerie, con il sostegno di Volontarimini.
    “L’idea è nata dal desiderio di dare voce agli immigrati più giovani – ci racconta Giorgia Cocco, coordinatrice delle attività educative dell’associazione Arcobaleno – ognuno con storie diverse e uniche. Ognuno con una sua visione del mondo, elaborata in base alle proprie esperienze”.
    Le interviste sono state realizzate dai volontari, di origine italiana e straniera, delle associazioni di Volontarimini e da metà gennaio diventeranno una mostra, costituita da pezzi di puzzle con sopra le risposte, che sarà esposta al ristorante “Harissa” di Rimini, in via Tonini.

    Il grande lavoro dei volontari
    Tornando alla scuola, non sempre è un mezzo di aiuto e proprio per questo molti centri di volontariato organizzano corsi e momenti ad hoc.
    “Con l’associazione Arcobaleno – racconta Giorgia Cocco – organizziamo tre incontri a settimana: il martedì, il giovedì e il sabato. Sono incontri gratuiti a cui possono partecipare liberamente tutti gli studenti”.
    Anche il Centro Educativo della Caritas è molto attivo.
    “Questo è un centro per italiani e stranieri – spiega Alessandra Crovasce, una delle insegnanti – aperto il lunedì, martedì, mercoledì e sabato. Per la maggior parte è frequentato da immigrati che hanno bisogno di sostegno scolastico e non riescono a trovare aiuto nella propria famiglia. Sono bambini che arrivano da diverse nazioni: Macedonia, Tunisia, Albania, Perù, Cina; dai 6 ai 14 anni. Hanno sia difficoltà scolastiche sia di lingua. Molti, poi, vengono per interagire con altri bambini, perché il pomeriggio, finiti i compiti, non hanno nulla da fare e qui riescono a trovare altri coetanei per parlare e giocare”.
    Al centro educativo c’è anche un corso di italiano per bambini cinesi, tenuto da don Cin Sao, un sacerdote cinese che vive a Rimini.
    “Molti bambini – continua Alessandra – anche se sono nati qui, non proferiscono una parola di italiano, perché la famiglia non lo conosce. E questo crea dei grossi problemi”.
    Ma dietro al linguaggio usato per esprimere i propri pensieri, i ragazzi intervistati da Volontarimini e Arcobaleno hanno le idee molto chiare, spesso più chiare di molti nostri legislatori, che si riempiono la bocca di parole come accoglienza, integrazione e arricchimento solo quando sono sotto i riflettori – e spesso neanche in quel caso.
    “Cosa significa essere una cittadina italiana? – si chiede una ragazza marocchina – Non lo so, non c’è differenza per me, quello che sei alla fine lo sei, non è che un termine che ti viene dato ti cambia interiormente”. Poi continua: “Quando sono tornata in Marocco, all’età di 10 anni non mi sono ritrovata, vedevo tutti con occhi diversi, vedevo dall’esterno cose che se fossi rimasta lì non avrei visto, forse. Non mi sento né marocchina né italiana, nessun dei due. Forse ho un pensiero più occidentale. Penso che una persona sia più aperta se non si sente per forza parte di una patria”.
    Né marocchina, né italiana, quindi, ma cittadina del mondo. Forse dovremmo imparare tutti ad essere come lei, togliendo i confini e le etichette dalle carte e dalla mente. Ma c’è anche chi è più cinico, come questa ragazza argentina.
    “Non possiamo pretendere di essere cittadini italiani, e allora vivere come extracomunitari va bene lo stesso”.
    Chi si accontenta gode? Speriamo che in futuro non ci si debba più accontentare, per godere di un po’ di accoglienza.

    Stefano Rossini