Un venerdì a cavallo delle “zebre”

    Il senso civico di una comunità si manifesta in tanti atteggiamenti della vita quotidiana, come ad esempio quello di fermarsi – in auto – in presenza di pedoni sulle strisce d’attraversamento. Anche perché lo prevede il Codice della strada. Un dovere che a Rimini molti automobilisti, non tutti per fortuna, non assolvono. Noi ne abbiamo avuto un esempio visto che per un’intera giornata abbiamo fatto da “esca”.

    Si parte
    Il viaggio inizia un ordinario venerdì mattina alle 9 nella zona del Ponte Tiberio. Sarà la fretta mattutina, ma girare a piedi è subito un’impresa. I lavori, conclusi qualche mese fa attorno all’area del monumento romano, hanno spostato di qualche metro le strisce che collegano il ponte all’inizio di Corso Augusto: così, molte automobili provenienti da destra giungono a elevata velocità, noncuranti dei pedoni in attesa. Due, quattro, sette macchine. Nessuno si ferma e l’unico a farlo, dopo 8 minuti di attesa, è una donna piuttosto scocciata.
    La stessa cosa accade in via Matteotti: resto ferma davanti alle strisce per un paio di minuti. Chi guida è del tutto indifferente, guarda i pedoni in senso di sfida e qualcuno addirittura accelera. Dopo 11 conduttori negligenti, una Punto di un signore di mezza età si ferma. Tiro un sospiro di sollievo, la strada è mia. Invece no. Ecco il sorpasso azzardato della macchina che stava dietro la Punto, mi paralizza ma non blocca un “Ma sei matto?”. Il giovanotto, come se nulla fosse successo, mi manda a quel paese e riparte in quarta.
    Non è più facile sulla vicina via Coletti, strada cittadina trasformata dai guidatori in strada a scorrimento veloce. Sono appena le 11 di mattina, poco traffico e automobili ad alta velocità. Con me, in attesa di attraversare, una signora anziana. Le macchine schizzano come se fossero in pista. L’anziana, timidamente, al suo posto non accenna nessun movimento: la paura di non riuscire a fare un balzo indietro se l’auto non si ferma è tanta.
    A questo punto, dopo nessun gesto di umanità, l’unico modo è buttarsi in maniera decisa e quasi violenta sulle strisce, come a dire “Io passo”. Altra frenata brusca, altro viaggio in un famoso paese, ma l’obiettivo è raggiunto, io e la signora siamo dall’altra parte.
    Nei dintorni della stazione il livello di stress automobilistico aumenta e di conseguenza anche l’egoismo dei conducenti stessi. Il pedone non è nessuno. Dopo avere scavalcato un’auto parcheggiata sulle strisce e schivato un motorino, sono pronta per attraversare. Le macchine provenienti dal centro seguono la rotonda senza pensare che lì c’è gente a piedi, il pedone non ha nessuna forza, e l’unico modo per farsi rispettare è accennare l’intenzione di passare. Di nuovo, l’unico a fermarsi è un uomo di mezza età.

    Suv e microcar
    Nemmeno le vie adiacenti al centro sono una roccaforte per i poveri pedoni. I veri avvoltoi sono i Suv, o meglio, i loro guidatori. Solitamente donne arroganti che manifestano la parità di sesso guidando queste grandi auto. Spesso al cellulare o impegnate con il bambino nel sedile posteriore, le guidatrici di Suv sono tra le meno educate in merito al senso civico stradale. Ad affiancare questa categoria, ci sono i nonni. Alla guida delle loro city-car si trasformano in veri banditi della strada: il rispetto della segnaletica e dei pedoni è un optional. Si vedono in numero maggiore all’uscita del mercato settimanale e dei supermercati. Nonostante non raggiungano velocità folli, gli arzilli nonni, in prossimità delle strisce, non rallentano ma viaggiano non curanti del mondo fuori. La strada è la loro.
    In via Roma, in attesa di passare, non tutti pazientano ligi di fronte alle strisce, così qualcuno invade le corsie a passo veloce, inconsapevole del pericolo che sta correndo. La signora al mio fianco si lancia di fretta sulla strada e l’auto, colta di sorpresa, tira il freno più che può. Lo scontro verbale tra i due si traduce in urla. Nessuno, tra i presenti si meraviglia. L’ordinarietà di questi episodi non è nemmeno più motivo d’indignazione.
    Nel pomeriggio, la passeggiata continua sulla via Flaminia; l’appuntamento nelle vicinanze della rotonda dello stadio si trasforma in un momento di alta tensione: è richiesta vivacità di riflessi e scaltrezza. La strada, ma soprattutto i guidatori non perdonano. La titubanza è una minaccia per se stessi. Aspetto, ma le macchine sfrecciano veloci senza degnarsi di rallentare, cerco di mettermi più in vista possibile. Dopo una decina di auto non succede nulla, decido d’iniziare quella danza, che molti pedoni fanno, quasi intimidatoria nei confronti delle auto, a voler dire “Io sto per attraversare”. E loro, con santa pazienza si fermano, quasi a volerti fare un piacere. Guardo l’orologio, sette minuti di attesa!
    Stesse dinamiche sulla via Marecchiese, sempre troppo trafficata e in diversi tratti scontornata di marciapiedi: non importa che tu sia un anziano, un bimbo, una donna in dolce attesa, il comportamento dei conducenti rimane invariato. Su questo tratto, partendo dall’inizio della Marecchiese fino al Villaggio Azzurro le possibilità di passare da una sponda all’altra si riducono drasticamente: 8/10 minuti di attesa sulle strisce. Succede, poi, che i pedoni, aspettando che qualcuno si fermi, stringano un patto d’alleanza tra loro e decidano di affrontare insieme il guidatore.
    Insomma, costa così tanto fermarsi alle strisce? Oppure, una volta saliti sull’auto avviene una metamorfosi che trasforma tutti in arroganti e maleducati? Sta di fatto che nemmeno a fine giornata si ha un po’ di pace: è venerdì sera, è buio già da diverse ore, l’aria di festa prenatalizia si fa sentire e qualcuno schiaccia troppo il piede sull’acceleratore. Camminando verso la zona Celle attraversare diventa rischioso. Una signora con cagnolino al seguito aspetta il suo turno, sbuffa, tutti la guardano ma nessuno frena. Osserva le auto e intanto tiene ben stretto al guinzaglio il suo Fido, basterebbe una distrazione per rischiare il peggio. Nemmeno sul marciapiede di via Tonale si può stare sicuri. Così, una volta arrivata a casa, posso davvero dire di avercela fatta!

    Marzia Caserio