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Al contrario noi…

di Mirna Ambrogiani

Anche una città di provincia come Rimini può essere emblematica delle contraddizioni che la società attraversa in questo tempo. Abbiamo da un lato una comunità che si ritrova, nella calda estate del turismo chiassoso e festaiolo, a pregare pubblicamente per la pace, invocandone ogni aspetto, compresa la pace sociale, non solo l’assenza di guerra, pur così desiderata. Abbiamo, d’altro canto, una piccola casa editrice riminese che pubblica il libro-saggio del generale Roberto Vannacci, Il mondo al contrario, caso letterario di queste ultime settimane per il dibattito e le reazioni suscitate e per le posizioni in esso contenute, non propriamente concilianti o favorevoli alla reciproca comprensione e alla convivenza.

Rimini è la città del Meeting dei popoli e il discorso conclusivo di questa edizione è stato tenuto dal presidente Mattarella, garante della Costituzione, che in un passaggio si chiedeva su cosa si fonda la società umana e politica: “È, forse, il carattere dello scontro?

È inseguire soltanto il proprio accesso ai beni essenziali e di consumo? È l’ostilità verso il proprio vicino, il proprio lontano?

È la contrapposizione tra diversi? O è, addirittura, sul sentimento dell’odio, che si basa la convivenza tra le persone? Se avessimo risposto affermativamente, anche soltanto a una di queste domande, con ogni probabilità il destinodell’umanità si sarebbe condannato da solo”. La risposta è inequivocabile e fa pensare.

Purtroppo Rimini è anche la città in cui ci si impegna a diffondere in Italia il verbo di Vannacci, preoccupato di contrastare l’avvento di nuove “minoranze organizzate” che sovvertirebbero la normalità: il multiculturalismo, portatore di valori estranei, in grado di minare l’identità nazionale e la coesione sociale. È diventata celebre e ha fatto il giro del mondo l’infelice affermazione riguardante Paola Egonu, la bravissima pallavolista di colore, la cui italianità non sarebbe confermata da tratti somatici conformi allo standard nazionale.

Chissà cosa penserebbero di questi standard di conformità “rinascimentali” la mia vicina che è alta circa 1,45 e non è aggraziatissima o il mio amico nigeriano, che ha due figli nati in Italia e sono l’orgoglio della loro mamma, perché più scuri del padre e con tanti capelli ricci? Va’ a capire gli standard! Rimini è, direi per vocazione, una città che accoglie, permeata da una lunga presenza cristiana che mai ha rifiutato l’incontro con altre etnie e altre culture.

È stata ed è la sua ricchezza. Mi risulta che gli stranieri residenti in provincia siano circa 40.000 e rappresentino poco più dell’11,4% della popolazione totale, la maggior parte sono di tradizione cristiana, con una significativa componente islamica e di altre religioni.

La Diocesi stessa invita nel momento presente parrocchie e famiglie a farsi carico di forme possibili di accoglienza, abitativa e non, a fronte di un’emergenza davvero alta, sistemica, cui fanno fronte a fatica Caritas e Cooperative varie, impegnate duramente dallo sbarco e dall’arrivo di migranti spinti a fuggire da guerre, fame, pandemie, terremoti e inondazioni devastanti.

Ma qualcuno, preoccupato di un mondo “ al contrario”, può approvare che Vannacci scriva con indignazione dei sussidi erogati per gli immigrati, inferiori alle pensioni minime. Ed infine il passaggio forse più noto del saggio, quello sull’omosessualità.

Mi astengo volutamente dall’esprimere giudizi sulle affermazioni contenute, criticate perché omofobe, secondo alcuni, ma che non voglio discutere, perché non mi sembra infatti chiaro il pensiero dell’autore, oscillante tra l’ostentazione di amicizia con persone gay e le perplessità per il loro riconoscimento sociale.

Anche qui voglio tenere presenti le parole e gli insegnamenti di Papa Francesco, che invita a rispetto, compassione, delicatezza: «Essere omosessuali non è un crimine» e dice altre cose ancora.

Del resto la Chiesa e la convivenza civile che Papa Francesco auspica è quella animata dall’ “ amicizia sociale”, una Chiesa ed una società che accolgono tutti, in nome del Dio di tutti.

Vorrei condividere una preoccupazione: questa pubblicazione sembra essere l’ennesima occasione per cercare di rendere permanente lo scontro ideologico, politico, sociale.

Anche in una piccola città come Rimini, costruire un terreno di scontro non è mai produttivo.Quello che serve è l’atteggiamento del dialogo. Lo scriveva molto bene, qualche giorno fa, Mauro Magatti sul quotidiano della CEI “ Avvenire”: invitava a riconoscere la complessità sociale e le differenze, a non esasperare la conflittualità e a non manipolare la popolazione trasformandola in massa, “ massa di manovra”; invitava inoltre ad usare tutti gli strumenti che sono propri del dialogo per il pieno riconoscimento dell’altro, perché, per dirla con l’enciclica di Papa Francesco che riprende nel titolo un detto di Francesco d’Assisi, « Fratelli tutti », sia proposta, come auspicava l’umile fraticello di Assisi: « l’essenziale di una fraternità aperta che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata e dove abita » .