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ADHD, IL MIO AMICO DIFFICILE

Fino a dove l’aggressività di un bambino è “normale”? O la sua incapacità di concentrarsi? Queste domande per molti genitori non hanno una risposta precisa e non devono averla: ciò che un bambino fa, fin dalla prima infanzia, è sempre classificato come normale e tipico per quella età. Ma non sempre è così: oggi, a molti di essi viene diagnosticato l’ADHD.

L’ADHD (dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un disturbo che si manifesta con difficoltà di comportamento, come iperattività, e di concentrazione, che può comportare aggressività, impulsività e irrequietezza. Le sue cause possono essere varie, come una predisposizione genetica o fattori neurobiologici legati allo sviluppo del sistema nervoso centrale, ma anche l’ambiente in cui si cresce, che deve essere sempre sano e conforme a un bambino. È presente a qualsiasi età: anche se spesso sintomi come l’iperattività diminuiscono di intensità nel tempo, molti adulti hanno dichiarato come possano aumentare di intensità, causando mancanza di capacità di organizzazione o impulsività, che risultano essere un grande problema nel quotidiano; difatti, può interferire in modo importante nel lavoro o nelle relazioni sociali, dando origine frequentemente a problemi di autostima e ineguatezza a qualsiasi fase di vita. Negli ultimi anni la lotta contro l’ADHD ha fatto però passi da gigante: si parla specialmente dell’ambiente scolastico, dove è più probabile incontrare ragazzi che soffrono di questo disturbo e ai quali la mancata attenzione può portare a gravi difficoltà sia nell’ambito personale sia sociale, ma anche il rapporto con la scuola stessa; o ancora ad esempio enti come il Poliambulatorio Arbor Vitae, uno dei più importanti nell’ambito della psicologia, che da ormai tre anni organizza un corso chiamato ‘Coping Power’ che consiste nell’educazione ad emozioni forti come rabbia o frustrazione, al fine di creare un ambiente sicuro dove gli adolescenti che soffrono di questo disturbo possono esprimersi ed entrare in contatto con se stessi. Il tema è noto anche a Rimini, dove negli ultimi dieci anni nella provincia i casi sono aumentati del 7%: non deve essere visto per forza come un dato negativo, però, perchè dimostra quanta consapevolezza si stia creando sia fra i giovani sia fra gli adulti e i genitori.

Convivere con l’ADHD. La testimonianza

Testimone del cambiamento dell’ADHD nel tempo e dei suoi effetti è Andrea (il nome è fittizio), un ragazzo del territorio riminese di 25 anni che soffre di questo disturbo sin dalla prima infanzia.

Com’è stata la tua infanzia con questo disturbo?

“La mia ADHD viene da ‘lontano’: fin da piccolo avevo qualcosa che ‘non andava’ e a seguito di sedute dallo psicologo me l’hanno diagnosticata a 7 anni, nel 2007. Potrei dire di aver avuto l’ADHD dai tempi in cui non andava ancora di ‘moda’. Ci sono cresciuto insieme e la consapevolezza è stata molte volte una auto-consolazione, un po’ come pensare che se non riesco ad essere come gli altri è perché c’è un motivo. Ovviamente c’è anche del rammarico. Essendo un creativo a volte mi chiedo quante cose avrei potuto fare se avessi avuto quell’impegno e quella costanza che forse l’ADHD mi ha in parte impedito di sviluppare. Oggi parlare di questi disturbi a livello dell’infanzia è diventato normale, come educatore lo vedo, ma quando ero bambino io non si era ancora sviluppata la sensibilità culturale per la psicologia che abbiamo oggi: i bambini come me passavanoperfurbiopoco intelligenti. Non parliamone neanche strumenti compensativi: al massimo le maestre erano disposte ad essere leggermente più pazienti in certe situazioni”.

Hai citato le maestre: a livello scolastico come ti sei trovato?

“Inutile negare che l’impatto dell’ADHD soprattutto in ambito scolastico sia stato pesante, complice la natura stessa dell’istruzione italiana, dalla scuola primaria fino all’università. La scuola italiana è una scuola di conoscenza che ha come obiettivo principale l’apprendimento di nozioni indipendentemente dalla loro ‘usabilità’, in forma perlopiù testuale spesso senza raffronto visivo e senza attribuire valore alla competenza che ne deriva. Quando il professore di matematica spiega la formula dell’equazione il suo interesse è che in sede d’interrogazione lo studente gliela sappia ripetere e risolverci quesiti preconfezionati. Non gli importa nulla che la sappia riutilizzare nella vita, nel lavoro o negli hobby. Eppure in molti lavori, legati ad esempio alla grafica o al digitale, saper scrivere (non solo utilizzare) le equazioni è molto importante. Sembra una divagazione, ma in realtà capire questo mi ha permesso di comprendere meglio il disturbo. Nella mia esperienza l’ADHD ostacola l’apprendimento di nozioni testuali con il disinteresse perché non trova stimolo in quell’apprendimento o non produce un beneficio immediato o tangibile. Per fare un esempio pratico, per me leggere un libro di solo testo è impossibile: il mio cervello non è stimolato a sufficienza e induce ad altri pensieri. La lettura meccanica prosegue ma è come non aver letto niente. Fin da bambino invece giocando ad un videogioco a tema storico o guardando un documentario riuscivo a imparare a memoria nozioni, dialoghi e immagini e farne una cultura personale. Il tema è lo stesso, ma la differenza consiste nel modo in cui s’interagisce con quelle informazioni: se vi è una componente visiva, se la nozione è accompagnata da un’interazione o se posso tramutare immediatamente quella conoscenza in una competenza, la nozione mi rimane. Questo spiegherebbe perché all’Università superavo gli esami dei laboratori, ma mi era quasi impossibile superare gli esami di materie teoriche tant’è che abbandonai gli studi universitari. Oppure perché superai entrambi gli esami di scuola guida al primo tentativo e anche con una certa tranquillità. Oggi a livello di scuola primaria credo che qualcosa inizi a muoversi, ma il cambiamento è ancora lontano”.

E oggi, in ambito lavorativo o relazionale?

“Chiaramente l’effetto dell’ADHD lo sento anche esternamente all’ambito scolastico e lavorativo.

Non riesco quasi mai a seguire discorsi delle persone oltre il minuto, ho bisogno di interagire anche se in maniera minima. In ambito lavorativo la mia produttività o la procrastinazione possono variare in base al tipo di incarico qualora sia stimolante o meno. Per fortuna svolgendo un mestiere basato sulla creatività la maggior parte dei miei incarichi sono molto stimolanti”.

Emily Hysa