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Tre Elisabette per Roberto Magnifico

Le donne più importanti di Roberto Malatesti il Magnifico (1442-1482), figlio di Sigismondo Pandolfo Malatesti (1417-1468) e dell’intraprendente fanese Vannetta de’ Toschi (….-1475), si “raccontano” in un inusuale confronto a tre. Curiosamente, le affascinanti Madonne condivisero, oltre all’amore per l’abile Signore di Rimini, Cesena e altri feudi di Romagna, anche il nome: Elisabetta degli Atti l’amante, Elisabetta da Montefeltro (1464-1510) la moglie, Elisabetta degli Aldobrandini (….-1497), la favorita a vita.
Prima di “ascoltarle” è doverosa una rapida carrellata sulle gesta del loro “capitano zeneral invictissimo” degno figlio di tanto padre. Morto Sigismondo Pandolfo Malatesti, papa Paolo II chiese al giovane Roberto (a Roma ai servizi della Chiesa) di togliere dalle mani della vedova di Sigismondo, Isotta degli Atti, la signoria di Rimini, rinunciare al dominio della città e renderla alla Chiesa. “Mi conseguirò sempre con somma fede li comandamenti vostri et l’exaltathione della Santa Chiesa (…) sperando d’essere dalla Santità vostra ben remunerato” aveva risposto l’invictissimo. Papa Paolo II “commisseli qhuanto avesse a conseguire et ’l benedisse”.
Il Magnifico, presi i denari, penetrò travestito nel castello, se ne impadronì e, anziché rendere Rimini alla Chiesa, si fece proclamare Signore. Sdegnato, il papa gli inviò contro un esercito capitanato da Napoleone Orsini, che occupò in un primo tempo il borgo di San Giuliano ma poi fu costretto a ritirarsi dopo un’importante vittoria del Malatesti che “cacciolli de fora de tucto el Borgo”. Fortificata Rimini, Roberto fece uccidere nel 1470 i fratelli Salustio, figlio di Sigismondo Pandolfo e di Isotta degli Atti, e Valerio, figlio di Sigismondo Pandolfo e di “mater ignota et non soluta” cioè maritata.
Morto Paolo II, il Magnifico recuperò nel 1471 diversi castelli che rese al nuovo papa Sisto IV, ottenendo l’annullamento dell’interdizione per la città di Rimini. Nominato Cavaliere del re di Napoli, nel 1478 fu (al fianco dei fiorentini) con il re e contro la Chiesa. Nel 1479, combattendo per Firenze nel Perugino, si trovò a battere gli uomini del papato e ad essere interdetto ancora una volta da Rimini. Nominato nel 1480 generale della Repubblica Veneta ed ascritto alla nobiltà, riottenne la “benedizione a Rimini” con mediazione della Serenissima. Nel 1482 il Magnifico prese parte alla lega che vide Venezia e papa Sisto IV alleati contro il re di Napoli, il duca di Firenze, di Milano e di Ferrara, poi mosse verso il Ferrarese, saccheggiò varii castelli e assalì Bagnacavallo e Fossignano. L’abilità politica e guerresca in favore della Chiesa fece sì che la stessa lo chiamasse a Roma per difenderne il territorio minacciato dal duca di Calabria. Il 2 agosto dello stesso anno l’invictissimo, giunto con l’esercito a Castel Gandolfo e accampatosi a Civita, mise in fuga il duca di Calabria dopo sei ore di combattimento in San Pietro in Formis e inviò al papa il duca di Melfi ed altri condottieri fatti prigionieri. Occupata Civita e altri castelli della zona, assediò Cavi. Ammalatosi (forse avvelenato per invidia da Girolamo Riario, nipote di Sisto IV) fu portato a Valmontone poi, per ordine del papa che gli dimostrò tutta la sua benevolenza, a Roma dove ”il dì 10 settembre 1482 spirò, lasciando di sé nome gloriosissimo” e otto figli giovani: Valerio (1453-1470) nato da madre ignota; Violante (…-….) e Troilo (1481/82-1507) nati da Elisabetta degli Atti; Pandolfo (1475-1534), Giovanna (1477-1496) e Carlo (1480-1508) nati da Elisabetta Aldobrandini; Battista (1482-1515) nata dalla moglie Elisabetta d’Urbino. Seppellito in San Pietro con tutti gli onori del rango “il papa gli fe’ erigere grandioso monumento”. Detto questo, lasciamo la “parola” alle tre Elisabette.

Elisabetta Aldobrandini
“Parmi chosa strana l’essere riunite a parlare de lo meo sposo” esordisce la nobile Elisabetta da Montefeltro, secondogenita del duca di Urbino Federico da Montefeltro e dell’intelligente e colta seconda moglie Battista Sforza (figlia del signore di Pesaro Alessandro Sforza e della prima moglie Costanza da Varano) che dette al duca otto figli e governò in sua assenza.
“Altrettanto strano haver l’istesso nome” aggiunge Elisabetta degli Atti, figlia del nobile Antonio degli Atti.
“L’istesso nome ma no’ l’istessa importanza” ribatte la bellissima Elisabetta Aldobrandini, figlia di Obizzo Aldobrandini da Ravenna, perfetta testimone del suo tempo, ambiziosa, opportunista ed abile politica.
“Chi sarìa la più importante? Tu?” chiedono, provocatorie, le altre due Elisabette.
“Certo ché si” risponde altezzosa l’Aldobrandini, e sfidando la Montefeltro aggiunge: “Chara la mea urbinate, dovresti ben ricordare ché qhuando lo 25 giugno 1475 ’l Magnifico Roberto te sposò la pasione tra noi ardeva da tempo et ebbe prosieguo fino a la morte sua. Pe’ Roberto – nonostante li vari combattimenti a fianco de’ lo padre tuo et li fastosi vostri sponsali – nullaltro fosti ché portatrice de benefizi economici et politici, tant’è ché poche septimane apresso, ne’ luglio 1475, noi anunciammo co’ giubilo et publici festegiamenti la nascita de’ Pandolfo IV. Morto Roberto, lo nostro Pandolfo fu, nel tempo, condoctiero et signore de Rimini et altre città de Romagna. Da te, invece, Roberto ebbe sol una fija (1482-1515), nomata Battista come la nonna, ché sparve presto come dissolta et ch’egli nianche considerò ne’ testamento. A’ tempi de’ lo nostro amore ’l Magnifico me rapì a lo marito meo, nobile faentino, et fui pe’ sempre la regina de lo core suo. Apresso la morte ressi la signoria pe’ quindicianni co’ grandi honori da cittadini, principi et Chiesa. Li Bentivoglio me ricevettero a Bologna co’ riguardo et lo doge de Venethia, ché me considerava vedova de’ lo Magnifico Roberto et no la concubina, me colmò de lodi et doni et comparve co’ me a palazzo in San Marco colocandome a la dextra sua. Purtroppo lo viaggio a Venethia fu tra l’ultime mee sodisfathioni dato ché pocho dopo fui chiamata a Fucecchio da la fija mea Giovanna assai infirma et lì rimasi et me spensi”.

Elisabetta da Montefeltro
“Ramento tutto, ambiziosa Aldobrandini, et hancora me dolgo pe’ qhuanto ve profitaste de la mitezza mea. Roberto, oltre a far torto grave a la nostra Battista et l’haver lassato a te sola et a li fiji vostri tutti li beni suoi et tutti li mei portati in dote, me ridusse a tornarmene in Urbino co’ li soli habiti et l’anello nunthiale, negandome finanche li regali de’ nozze. Tutto questo m’angosciò sì tanto ché me ritirai, co’ nome de Suor Chiara Feltria, ne’ Monastero Santa Chiara de l’Ordine de’ Zoccolanti (Frati minori osservanti) fondato da lo padre meo et da me modificato. Ma nianche lì trovai pace, ché qhuando entrò in Urbino l’armata de Cesare Borgia dovetti rifugiarme a Venethia ne’ monastero San Francesco della Croce fino a novembre 1503 et invano m’adoprai pe’ istituire ne’ palazzo de’ Cimiero a Rimini Monastero Mendicantium primae regulae”.
“Come se palesa anche da lo raconto tuo è chiaro, chara urbinate, ché pe’ lo Magnifico Roberto contasti men ché zero. Fui io la sposa sua vera, la sola degna de regnare honorata et aprezata da signorie et Chiesa”.
“Spegiudicata Aldobrandini, la verità è ché tenesti l’usurpato regno co’ astuzie, tradimenti, aleanze et gran maneggi et ché lo vostro fijo Pandolfo, inetto, corotto et ingrato, en poco tempo disperse tutte le conquiste fatte da l’avi ne’ secoli. No dovria esserte scordarta ché ne’ l’ottobre 1500 ello, nomato Pandolfaccio pe’ le gran malefatte et angherie et abandonato da l’aleati, vendette pe’ pusillanimità Castel Sismondo pe’ 2900 ducati a lo cinico et sanguinario Duca Valentino ch’era Cesare Borgia (1475-1507) – fijo de lo papa Alessandro IV (già cardinale Rodrigo Borgia) – ché se tenne Rimini fino a’ 1503. Cesare Borgia, arcivescovo de Valenzia a sol diciasett’anni, cardinale a diciotto, governatore generale et legato d’Orvieto ne’ 1495, no riuscì a fondare uno Stato unico, indipendente et sovrano sol perché morì lo padre suo. Dopo ché lo 17 giugno 1528 Rimini passò sotto directo governo de la Chiesa, lo Pandolfaccio tuo se trovò a vivere en povertà a Ferrara l’ultimi jorni sotto protezione de’ lo Duca Alfonso d’Este. Bella arampicatrice, oggi no te celebra più nessuno, oggi ne’ mese de luglio ne’ centro storico de Rimini se rievocano li sette jorni de’ banchetto nuziale pe’ lo grandioso matrimonio meo co’ Roberto: una septimana de spectacoli co’ giullari, sbandieratori, armigeri, balestrieri, sonatori, danzatori, tamburini, trampolieri, musica, cibi cucinati come ne’ medioevo, favole medievali, fochi pe’ lo gran finale.”
“Bella consolazione la tua!” replica sprezzante l’Aldobrandini. “Tu sarai stata la sposa sua legittima festegiata lo jorno de’ matrimonio, ma io so’ stata la donna sua più importante, quella ch’egli ha veramente amato et ché s’è goduta tutto lo potere, tutte le ricchezze, l’onori et li privilegi. Te fosti niente, chara la mea urbinate, et è chosì ché van di pari passo sentimenti et storia.” conclude, spavalda e irriguardosa, l’Aldobrandini.

Elisabetta degli Atti
“Se lor madonne ’l consentono, qhualcosina da dicere l’havria anch’io” interviene Elisabetta degli Atti (figlia di Antonio degli Atti, fratello di Isotta), infastidita dal malanimo dell’Aldobrandini e dall’esser stata estromessa dal dialogo. “Qui ce se scorda ch’io fui l’amante publica de Roberto assai prima de’ l’inamoramento tuo, rancorosa Aldobrandini, et de’ lo matrimonio tuo, sventurata Montefeltro. Io me ’namorai de Roberto ch’ero maritata et principiammo relathione sì passionale ch’addusse a mala sorte li mei due sventurati sposi, Nicola Agolanti lo primo, Adimaro Adimari lo secondo. Co’ Roberto concepii Violante et lo primo fijo suo maschio, Troilo, legitimato. Lo malcapitato Nicola fu trovato morto lo 9 novembre 1468 apeso a una trave strangolato da uno cinturino de seta, ma pe’ alontanare da Roberto ogni sospecto dissi d’haverlo trovato impiccato ne’ la capellina domestica dov’eravamo soliti pregare. Adimaro, ch’havevo sposato subito dopo lo lutto pe’ Nicola, no’ fù acciso ma imprigionato et caciato da Rimini, nonostante le proteste mee, et poté tornarve sol apresso la morte de Roberto. Co’ lo Magnifico fui bastantemente felice, nonostante no’ me sposò, ma no’ potrò scordarme ch’ello, pur habile militare et Signore, fu homo spietato, calcolatore et fedifrago. Detto qhuesto, mejo tornar a le chose nostre et ché la pace sia co’ voi”, conclude Elisabetta degli Atti, allontanandosi con passo regale. Dopo di lei, la Montefeltro e l’Aldobrandini.
La pace sia con voi, Madonne Elisabette…

Maria Pia Luzi

Nella foto Elisabetta Aldobrandini