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Vivere la Pasqua a Gerusalemme

La sera sulla piazza del Santo Sepolcro ‒ l’immensa e antica Basilica che contiene i luoghi santi del Calvario e della Tomba di Cristo ‒ il sole radente colora le pietre di un accesa tonalità rosacea. È appena finito il lungo rito cattolicolatino che apre la settimana santa, una sorta di processione presieduta dallo stesso Patriarca di Gerusalemme, che si reca con i frati francescani custodi della Basilica ed i fedeli sulla pietra della crocifissione e sulla tomba vuota del Risorto.

La successione dei diversi riti è rigorosamente scandita da secoli. Ora, mentre i cattolici sciamano sulla piazza, iniziano le infinite litanie dal suono orientale dei cristiani copti. Il Santo Sepolcro è anche questo: una mescolanza di riti e confessioni, suoni e colori, di incensi e oli profumati, al tempo stesso segno della scandalosa divisione dei cristiani, ma anche miracolo che mostra come Cristo sia cantato e lodato in diversi modi e nelle culture più disparate. Su questa piazza c’è padre Massimo Pazzini, frate francescano nativo di Villa Verucchio, autorità indiscussa a livello internazionale dello studio dell’ebraico, dell’aramaico e del siriaco. Padre Massimo ha un largo sorriso romagnolo e due occhi intensi che mostrano intelligenza e saggezza ed anche un pizzico di ironia.

Padre Massimo, da quanti anni vivi la Pasqua qui a Gerusalemme?

“La mia vocazione di venire a Gerusalemme presso la Custodia francescana è stata casuale. Da giovane frate avevo chiesto di poter terminare i miei studi a Roma, ma il mio Superiore mi disse: «ti mando a Gerusalemme».

Io ho risposto spontaneamente: «ci vado anche in bicicletta!». Sono così venuto nel 30 gennaio del 1983, dovevo rimanere uno o due anni, ed invece sono quarant’anni che vivo, prego ed insegno qua”.

Tu hai ricoperto molti incarichi di tipo accademico. Sei stato Decano (Preside) dello studio Biblico Francescano ed hai lavorato fianco a fianco con docenti ebrei, islamici e cristiano-ortodossi. Ma oltre al tuo lavoro di studioso, come frate, cosa significa fare Pasqua qui a Gerusalemme?

“La prima cosa è rendersi conto che qui le Pasque sono tante! È lo stesso mistero ma celebrato in modo diverso ed anche in periodi diversi. La Pasqua cattolica, la nostra, celebrata negli stessi giorni anche dai protestanti. Poi la Pasqua ortodossa che cade circa una o due settimane dopo la nostra, poi la Pasqua armena, ricchissima di funzioni e riti affascinanti.

Oltre a questo c’è la Pasqua ebraica che è la sorgente della nostra Pasqua, nel senso che Gesù ha innestato la sua Pasqua nella Pasqua di Israele. Poi quest’anno il Ramadan musulmano è caduto proprio nel periodo della Pasqua e questo complica un po’ le cose qui a Gerusalemme: si moltiplicano riti, preghiere, funzioni, precedenze e attenzioni, magari negli stessi luoghi o in luoghi vicinissimi.

Le religioni qui convivono ‒ per amore o per forza ‒ da millenni”.

Tu vivi al monastero della Flagellazione, in mezzo all’antico quartiere arabo, cosa significa questa presenza dei frati proprio vicino alle grandi Moschee?

“I frati francescani si sono stabiliti in città vecchia sin da quando San Francesco volle seguire la crociata del suo tempo con spirito di pace.

Essere qui, in pieno quartiere musulmano, significa da un lato testimoniare la nostra fede, dall’altro custodire gli antichi luoghi di culto tradizionale dei cristiani. Ovviamente questo avviene con spirito di rispetto da entrambe le parti. E poi la nostra presenza incoraggia la minoranza araba cristiana a non lasciare la città”.

Ma qual è il luogo ‒ qui in Terra Santa ‒ che spiritualmente ti risuona di più?

“Non mi dispiace il santuario dove abito, in cui si riflette sulla flagellazione e la condanna di Gesù, nei luoghi dove la tradizione dice che fosse la guarnigione romana. Ma il luogo più importante è certamente il Santo Sepolcro, una basilica che testimonia un mistero di sofferenza e gioia insieme. Il segno che per i cristiani ogni sofferenza non è fine a se stessa ma culmina nella speranza e nella risurrezione”.

Torni spesso a Rimini?

“Ovviamente. Prima della pandemia venivo due o tre volte all’anno. Ora riprenderò. Mi fermo con piacere al Convento di Villa Verucchio, alle Grazie e dalle Clarisse.

Qualche parrocchia mi chiama per la catechesi o la predicazione. E poi… vado a mangiare il pesce con gli amici!”.

Guido Benzi