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Verso l’Unità d’Italia

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Don Berardi, che aveva avuto la possibilità di esprimere le proprie opinioni mentre era vescovo mons. Zollio, subì, invece, con l’arrivo del successore, mons. Francesco Gentilini (1832-1844), numerosi attacchi, che ne minarono la salute cagionevole e lo portarono alla morte.
La rigidità del nuovo vescovo nei confronti dei preti della diocesi era risultata evidente già al suo ingresso in città, quando, senza tante cerimonie, li aveva divisi tra giansenisti-giacobini e liberali.

Il Vescovo costretto alle dimissioni
Il poco tatto con cui trattò le questioni economiche lo mise da subito in contrasto con il Capitolo, che venne da lui accusato di simonia. Ma la causa che si discusse a Roma lo trovò soccombente. Fu fonte di contenziosi perfino la riorganizzazione della Cappella musicale, perché il vescovo impose che in nessuna chiesa “subalterna” si potesse fare musica senza la Cappella del duomo. A esacerbare gli animi si aggiunsero l’atteggiamento da sovrano assoluto che manifestò dopo la sua nomina a conte palatino, e il contrasto con cui si pose nei confronti dei cittadini e della forza pubblica in occasione della quaresima del 1840; finché nel 1844 fu costretto a rinunciare alla diocesi. Non si sa se di sua volontà o per le pressioni della curia romana, alla quale erano giunte in più occasioni le proteste della diocesi.

La vivacità del cristianesimo sociale
Sono questi gli anni che vedono Gregorio XVI – sostenuto in questo anche dagli austriaci – opporsi a qualsiasi riforma politica che favorisca la partecipazione dei laici al governo e registrano un sistema economico basato su forme arretrate di agricoltura e di produzione artigianale; tuttavia per impulso della società civile a Rimini vengono impiantate le prime fabbriche (di laterizi, di vetri, di fiammiferi), viene fondata la Cassa di Risparmio e nel 1843 viene aperto il primo Stabilimento dei bagni, destinato a orientare il futuro sviluppo economico della città. Nel 1839, inoltre, Elisabetta Renzi con l’erezione canonica dell’Istituto Maestre Pie dell’Addolorata inaugura una serie di “santi sociali” (Angela Molari, Faustina Zavagli, don Domenico Masi), che per tutto l’Ottocento si prodigheranno per la formazione civile e religiosa in particolare delle giovani, la parte più emarginata della società, e per il soccorso alle classi più deboli, facendo emergere la rinnovata coscienza che la vita cristiana per essere vera deve incarnarsi in opere di sostegno alle persone indigenti, superando il vecchio concetto di assistenza paternalistica e assistenzialistica.

I tempi di Pio IX dopo i primi entusiasmi
L’episcopato di mons. Salvatore Leziroli (1945-1960), nominato nel 1845, dopo otto mesi di sede vacante, coincide con gli anni che vedono gli entusiasmi suscitati dagli inizi del papato di Pio IX e si concludono con la proclamazione di Vittorio Emanuele a re d’Italia (17 marzo 1861).
L’inizio dell’ episcopato di mons. Leziroli fu certamente aiutato dai provvedimenti di Pio IX che, nominato nel 1846, aveva dato nuovi regolamenti per la Guardia civica, sull’onda di quanto aveva fatto Carlo Alberto per il Regno delle Due Sicilie, aveva concesso uno statuto e all’indomani della ennesima sommossa del Riminese, guidata questa volta da Pietro Renzi, aveva concesso l’amnistia ai prigionieri,
Presto era giunta la fine dell’illusione. Le cause erano state molteplici: il timore di una defezione dalla Chiesa della cattolica Austria che indusse il papa a staccarsi dalla lega che stava combattendo la prima guerra d’indipendenza; l’assassinio di Pellegrino Rossi, primo ministro dello Stato Pontificio; la fuga a Gaeta di Pio IX; la nascita della effimera Repubblica romana; la proclamazione dello stato d’assedio a Rimini per impedire (invano) il passaggio dei garibaldini.
Finché, dieci anni dopo, la più accorta diplomazia del Piemonte sabaudo riesce a liberare l’Italia settentrionale dal dominio austriaco e a innescare un processo che porta all’annessione delle Legazioni al Regno delle due Sicilie, votata l’11 marzo 1860. Nel nuovo stato Rimini elegge il suo primo sindaco nella persona del conte Sallustio Ferrari Banditi.

Leziroli, vescovo politicamente attento e moderato
In questi anni tormentati, il vescovo Leziroli riuscì a guidare la diocesi senza particolari aperture, ma con intelligente moderazione e animo di pastore, come emerge nella relazione ad limina che invia dopo la prima visita pastorale, nella quale si mostra benevolo nei confronti del clero e del popolo della diocesi, offrendone un’immagine tutto sommato positiva.
Politicamente attento, avvertendo chiaramente che da tutti ormai il governo civile ecclesiastico era sentito come un peso difficile da sopportare, già all’inizio dell’episcopato aveva chiesto ai parroci di collaborare per evitare “il pericolo di una guerra civile” e a Roma la facoltà di esentare i “cospiratori” dall’obbligo di denunciare “i colleghi”; anche nel 1858 chiese (e ottenne) di poter assolvere i fedeli, anche ecclesiastici, “che presero le armi o si ribellarono comunque al Pontificio Governo”.

Spiritualità: il miracolo di Santa Chiara
Sul versante pastorale, preoccupato che le nuove idee liberali conducessero all’ateismo e all’indifferentismo religioso (col pericolo anche della diffusione delle idee “protestanti”), indisse missioni popolari e favorì la devozione alla Vergine, mai sopita in realtà nella diocesi, ma risvegliata nel 1850 dal miracoloso movimento degli occhi della Madonna della Misericordia (venerata nella chiesa di Santa Chiara) e dalla proclamazione nel 1854 del dogma dell’Immacolata.
Anche per il seminario emanò nuove costituzioni, che rimangono sulla scia di quelle dei vescovi precedenti e ci restituiscono l’immagine di una programmazione attenta ai minimi particolari, che continua a prevedere, tuttavia, che la formazione  al sacerdozio possa avvenire anche fuori dal seminario.

Ceccarelli, un Vicario quasi… vescovo
Attenzione al seminario e alla educazione dei giovani, vita sacramentale, esercizi spirituali, missioni popolari, impegno nelle iniziative assistenziali e caritative, confraternite, sono gli strumenti pastorali di cui si avvale anche il successore del vescovo Leziroli, mons. Agostino Ceccarelli, sacerdote di grande cultura e spiritualità, che resse la diocesi in qualità di vicario capitolare sia nei tre anni di sede vacante, sia dopo la nomina di mons. Luigi Clementi (1863-1871) che, per l’età avanzata, negli anni in cui fu vescovo di Rimini non mise mai piede in città.
Ma le lettere pastorali di Ceccarelli, pur ispirate da uno zelo pastorale sincero e premuroso, “guardano indietro”, ai precetti del Concilio di Trento, allineandosi alla condanna “degli errori dei tempi presenti”, pronunciata da Pio IX nell’enciclica Quanta cura e nel Sillabo e non tentano nemmeno un inizio di dialogo con quanti vorrebbero una Chiesa meno intransigente nei confronti dello Stato liberale, ritengono che la perdita del potere temporale del pontefice possa rinnovare e rigenerare il cristianesimo e si interrogano sugli ambiti in cui il papa può dogmaticamente pronunciarsi, “<+cors>essendo uomo e quindi soggetto ad errore”.

La preoccupazione verso il nuovo è evidente persino nell’arte: per le loro chiese i committenti tendono a rivolgersi ad artisti locali, lontani da ogni “idea perversa”, fortemente tradizionalisti, che mirano esclusivamente ad un effetto devoto.
(2 – continua)

Cinzia Montevecchi