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L’Argentina immaginata dagli europei

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Giuseppina Piunti (Maria), Davide Mancini (El Duende) - Ph Stefano Binci

La stagione del Teatro Pergolesi inaugurata con Maria de Buenos Aires di Astor Piazzolla, nel centenario dalla nascita del compositore  

JESI, 28 agosto 2021 – Il sipario si apre su un locale un po’ sordido, dove volteggiano ballerini di tango. Potrebbe essere l’Argentina, come pure l’Italia degli anni cinquanta o qualsiasi altra periferia del mondo.

Per Stefania Panighini, che firma regia, scene e costumi di Maria de Buenos Aires, questa ‘operita tangueira’ di Astor Piazzolla diventa metafora dei grovigli psicanalitici che tutti ci portiamo dentro e, nello stesso tempo, incarna quell’Argentina delineata nel libretto del poeta di origine uruguaiana Horacio Ferrer.

Maria de Buenos Aires - Ph Stefano Binci
Maria de Buenos Aires – Ph Stefano Binci

È dunque una condizione mentale e che finisce, inevitabilmente, per essere filtrata con uno sguardo europeo. Allora, piuttosto che interrogarsi sulla fedeltà all’idea di teatro che aveva Piazzolla, diventa più importante chiedersi cosa vada perso di quei significati originari legati alla cultura e alle condizioni politiche dell’America Latina. Maria de Buenos Aires è nata infatti in un anno emblematico, il 1968, ovunque ricco di spinte innovatrici e pulsioni alla libertà, tranne in quei paesi, come l’Argentina, dove imperversava il regime militare e ogni istanza di liberazione poteva essere affidata solo alla musica.

Il nuovo allestimento del Teatro Pergolesi (realizzato in collaborazione con Opera Giocosa di Savona e il Luglio Musicale Trapanese), che ha inaugurato la cinquantaquattresima stagione lirica di Jesi, è nato per celebrare il centenario dalla nascita del grande compositore argentino: un artista che ha contribuito a far uscire il tango dai ristretti confini popolari, trasformandolo in un fenomeno capace di conquistare il mondo.

È la visionaria e surreale storia di Maria, una creatura emarginata che – partendo dai degradati sobborghi di Buenos Aires – entra nel giro degli spettacoli notturni di tango, da dove inizia la sua discesa agli inferi. L’opera è divisa in due parti: la prima termina con la morte della protagonista; nella seconda Maria risorge, lasciando intravvedere una successione di rinascite che potrebbe ripetersi all’infinito. Il libretto di Ferrer, che pecca di un certo intellettualismo, delinea un percorso labirintico in cui s’intrecciano sacro, profano e fantastico. Echi di fenomeni nati in Europa, come la cultura psichedelica, si ritrovano accostati alla psicanalisi – particolarmente diffusa in Argentina in quegli anni difficili – e, a loro volta, s’innestano con la massima naturalezza su una religiosità a tinte sanguigne, dove c’è spazio per Gesù e la Madonna, senza alcun intento blasfemo. Tutto questo è possibile grazie a una musica che arriva direttamente al cuore.

La regia insiste sulla capacità della protagonista di risorgere, sulla sua purezza interiore – non a caso ogni tanto si affaccia una bambina vestita di bianco che insegue una palla – e la sua capacità di mantenersi incontaminata, nonostante viva tra emarginati di ogni tipo: ubriachi, assassini, ladri, prostitute, protettori. Il vero collante drammatico è dato però dalla musica, che riesce a rendere struggenti pure le situazioni di maggior disagio e durezza.

Solo tre i personaggi. Nel ruolo che fu di Milva, il mezzosoprano Giuseppina Piunti ha saputo trasmettere l’innocenza della protagonista attraverso una notevole fisicità. Il suo calore umano e la sensualità vengono esaltati anche dal confronto ravvicinato con il personaggio del giovane scrittore (El Playador), reso da un baritono – come Enrico Maria Marabelli – tetragono e algido. Al contrario, un passionale folletto (El Duende) è stato Davide Mancini, voce recitante, nel ruolo di narratore e burattinaio della vicenda. Attorno a loro si muoveva un mondo di reietti, interpreto da tangueri professionisti che ballano secondo le coreografie di Andrea Degani e Giovanna Di Fazi.

Aldo Sisillo ha diretto con scioltezza l’Orchestra e il Coro dell’Opera Giocosa, non solo apparsa del tutto a suo agio con la musica di Piazzolla, ma che soprattutto dava l’idea di divertirsi a suonare. Una sensazione comunicata da tutti i musicisti.

Giulia Vannoni