All’Alighieri di Ravenna per la Trilogia d’autunno Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia con musiche di Henry Purcell
RAVENNA, 16 novembre 2024 – L’ aspirazione all’armonia è suggerita dai componenti del coro, quando si abbracciano affettuosamente fra loro: un atteggiamento reso più chiaro dalle parole dell’ode Hail, Bright Cecilia – musicata da Henry Purcell nel 1692 – rivolte alla Santa, patrona della musica. Nel testo poetico di Nicholas Brady, ispiratosi a un analogo componimento di John Dryden, si parla infatti di “armonia delle sfere”: una visione cosmica ormai fuori tempo massimo – l’aveva già messa in soffitta Copernico – ma certamente suggestiva e di grande resa teatrale.
È dunque l’intero spettacolo Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia, visto all’Alighieri di Ravenna come ultimo pannello della “Trilogia d’Autunno” (che reca come sottotitolo Eroi erranti in cerca di pace), a ruotare attorno al concetto di armonia, proprio a partire dall’elegante allestimento di Pier Luigi Pizzi: autore, come sempre, di regia, scene e costumi. Una scatola bianca, con un bassorilievo di organo sul fondale, fa da cornice a uno spazio dove coro e interpreti, raffigurati come allievi di un’ipotetica scuola di musica intenti a celebrare la loro protettrice, sono vestiti di nero. L’unica nota di colore viene proprio dal sontuoso mantello di Santa Cecilia, dove ancora una volta Pizzi attinge alla sua sterminata conoscenza iconografica, così come succederà poco dopo con le colorate vesti dei protagonisti di Didone e Enea.
A un certo punto, infatti, l’ode Hail, Bright Cecilia s’interrompe – e così si chiariscono anche le ragioni di un titolo a prima vista difficile da decifrare – per lasciar spazio alla rappresentazione dell’opera più nota di Purcell, salvo poi riprendere prima del definitivo calar del sipario. La scelta si motiva, in primo luogo, perché Didone e Enea era stata concepita nel 1689 come masque: così – in qualche modo – lo spettacolo si conserva fedele a questa forma d’intrattenimento assai diffuso presso la corte inglese, che appunto prevedeva un’inserzione musicale all’interno di un contesto rappresentativo più ampio. E l’operazione ravennate, alla resa dei conti, non appare troppo forzata.
Nel testo dell’ode vengono esaltate le caratteristiche dei vari strumenti. Si comincia con l’organo (peraltro lo strumento più spesso associato nell’iconografia alla figura della Santa), per proseguire con il liuto; si continua poi con il violino e la viola, quindi il testimone passa al flauto, alla chitarra, alle trombe e ai pifferi, seguendo una strategia drammaturgica assai efficace in palcoscenico, come insegnano Le convenienze e inconvenienze teatrali di Donizetti o, più tardi, Pierino e il lupo di Prokof’ev. E l’innesto di quello che idealmente è lo strumento più grande, ovvero un’opera (Didone e Enea, appunto), rappresenta un’inedita variante del percorso.
L’esecuzione musicale era guidata da Ottavio Dantone, tra i massimi specialisti di questo periodo storico. Con sicurezza e grande sensibilità – splendido l’accompagnamento al lamento di Didone – il maestro ha diretto gli ottimi strumentisti dell’Accademia Bizantina in una lettura attenta a sottolineare gli omaggi che Purcell rende al melodramma italiano dell’epoca (Cavalli in particolare), valorizzando al contempo anche gli elementi di derivazione francese, avvertibili soprattutto nei cori. E se lo sfortunato amore della regina di Cartagine sedotta e abbandonata da Enea è ormai entrato nella memoria musicale collettiva (grazie a Purcell non meno che a Les Troyens di Berlioz, oltre che alle innumerevoli Didoni settecentesche), non così è per l’ode Hail, Bright Cecilia: il contributo degli strumentisti, dunque, è qui apparso tanto più prezioso nell’esaltare la ricchezza timbrica del musicista inglese.
Il ruolo protagonistico spettava ad Arianna Vendittelli, apparsa sicura ed efficace nel comunicare il cambiamento dei sentimenti che scandiscono la parabola di Didone: all’inizio cauta nel cedere alle lusinghe dell’amore, poi donna innamorata e, infine, stoica nell’accettare la partenza di Enea, prima di approdare al doloroso finale. Accanto a lei la sorella Belinda era interpretata da un’aggraziata Charlotte Bowden, mentre il baritono Mauro Borgioni ha impresso a Enea tratti spaesati più che eroici, come del resto prevede Purcell. A vestire i panni di una seducente maga era il mezzosoprano Delphine Galou, mentre nella piccola parte di Mercurio emergeva il giovane controtenore croato Žiga Čopi, che aveva avuto occasione di mettersi ancor più in luce in Hail, Bright Cecilia.
Tutti, tranne la Vendittelli, erano infatti impegnati anche nell’ode ceciliana: a conferma di un cast senza punte di eccellenza, ma comunque ben amalgamato.
Giulia Vannoni