Un Polo, dieci anni di servizi

    Timida, fraintesa, giovane. In principio fu l’Università di Rimini, polo distaccato della maestosa, importante ma anche ingombrante Alma Mater bolognese. Erano 77 gli studenti che nel 1994 iniziarono questa esperienza, ora sono più di 6mila. Tutto è cambiato, non è più timida e non è più fraintesa. Esperienza, quella dell’Università, che per molti versi è stata vissuta come una sfida. Rimini con la sua immagine di mega fabbrica del divertimento riuscirà a fare Accademia?
    I numeri dimostrano che di strada ne è stata fatta. Ma quanta fatica e soprattutto quante forze in campo! Le stesse forze che recentemente in occasione del decimo anniversario della cooperativa Diapason, si sono confrontate nell’ambito di una tavola rotonda che già nel titolo esprimeva gli intenti guida: “La Comunità Universitaria: riflessioni, servizi e prospettive”.

    Tutti in campo
    “Questo non è un momento celebrativo ma una riflessione, un confronto sulla realtà attuale e le prospettive future”, precisa Simona Mulazzani, la giornalista di IcaroRiminiTv chiamata a raccordare un tavolo che riunisce tutti, da Luciano Chicchi, presidente di Uni.Rimini, ad Andrea Canevaro, docente della Facoltà di Scienze della Formazione e Delegato del Rettore dell’Università di Bologna per gli studenti disabili, dal vescovo di Rimini Francesco Lambiasi a Vincenzo Tumiati, vicepreside della Facoltà di farmacia. Presente anche Pier Paolo Triani, docente di didattica generale presso l’Università Cattolica di Piacenza, che a Rimini porta avanti un progetto nell’ambito della residenza Santa Chiara, uno dei fiori all’occhiello della Diapason. Infine i festeggiati, la Diapason appunto, con il suo presidente Matteo Matteoni. Fatte le presentazioni, ora c’è da capire perché. Perché tutte queste voci, tutte queste realtà a parlare di Università? È qui, in questa risposta plurale che si spiega il volto che la realtà accademica ha assunto a Rimini.

    Gratitudine e trepidazione
    Attraverso questi due concetti il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi cerca di spiegare in che modo le strade della cittadella e quelle della Chiesa sono andate parallele in questi anni. “La gratitudine verso il vescovo De Nicolò che mi ha preceduto, perché dalle sue mani ho ricevuto questa bella realtà. Una realtà che già conoscevo di fama, attraverso le cose che mi avevano raccontato dei docenti amici e in tempi non sospetti, quando ancora non sapevo che sarei arrivato qui. Una collaborazione bella che guardo con cura, come un padre vede crescere una bella pianta”. Ed è qui che si arriva alla trepidazione. “Penso che questo sia il futuro, quindi lo guardo con trepidazione. In un momento in cui si parla di piano strategico credo che una riflessione sull’Università vada fatta, si tratta di un bene comune, che la Chiesa può contribuire a portare avanti”.
    E sul futuro e il momento cruciale che attraversa la città impegnata nella stesura del piano strategico si sofferma anche Luciano Chicchi.Il presidente di Uni.Rimini punta sulla base culturale che la realtà accademica può rappresentare. Parla di un cammino difficile, perchè difficile è stato far capire ai riminesi che l’Università non era solo un modo per creare profitto economico ma che avrebbe cambiato realmente il volto della città. “Prendo questo compleanno come un importante momento di festa, per tutti ma soprattutto per noi che abbiamo fortemente voluto l’Università a Rimini”. La sua idea è chiara e si spiega in tre punti chiave. L’Università: crea fermento culturale che può cambiare la città. Modifica l’assetto sociale
    (500 professori incardinati, 6300 studenti iscritti hanno cambiato completamente l’assetto sociale della città). Crea un impatto economico importante, basti vedere come è cambiato il centro storico. “Possibilità, potenzialità, arricchimento che la Diapason ha ben colto e portato avanti senza dimenticare di mettere al centro l’uomo, uomini con un cervello, un cuore, delle risposte. Senza parlare dell’impresa commerciale vera e propria”. In un momento di pessimismo come quello che attraversa il nostro Paese, questo è un esempio di imprenditorialità giovane e brillante, che con le motivazioni giuste ha saputo crescere e radicarsi. Prima la copisteria, poi la mensa che con i suoi 350 pasti a 3,50 euro (in media) e poi la sala studio con 80 posti, 12 postazioni internet e 2700 studenti iscritti. Infine la residenza Santa Chiara. “Questa città – conclude Chicchi – ha una società civile ricca, creativa e dinamica; così come la Chiesa che genera uomini e cristiani veri”.

    La residenza Santa Chiara
    È qui che si esprime meglio lo spirito che anima il lavoro della Diapason. Stiamo parlando di una residenza, 25 appartamenti, una cinquantina di studenti che vivono e convivono in spazi comuni. Sembra strano a dirsi ma dietro a quello che semplicemente sembra un “luogo dormitorio” c’è una equipe: un direttore, due educatori, un responsabile spirituale e da due anni c’è anche Pierpaolo Triani. Triani (che insegna all’Università Cattolica di Piacenza) ha un’idea di comunità concreta che cerca di sviluppare nell’ambito della residenza Santa Chiara. “Una comunità per definirsi tale - commenta il professore – ha bisogno di esperienze comuni. Solo in questo modo perde la sua accezione astratta collocandosi tra e con persone reali, dove dominano scelte responsabili di collaborazione”. C’è un’idea base sulla quale gira tutto il lavoro di Triani: se è vero che gli studenti (specialmente i fuori sede) hanno bisogno di ricevere tutta una serie di servizi, è altrettanto vero che ogni persona ha delle aspirazioni profonde, in un periodo cruciale della loro vita, quando i giovani investono sul loro essere, creando un’identità da adulto che poi si porteranno appresso per tutta la vita. “È un momento unico, irripetibile. Dobbiamo dare ai ragazzi le occasioni e le possibilità per viverlo in modo profondo. Varie ricerche hanno dimostrato che nel periodo universitario i giovani tendono ad essere individualisti, cercando in ultimo, il bene immune e non comune. La nostra sfida educativa è cercare di evitare tutto questo”.

    Angela De Rubeis