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Un museo senza sguardi

Il Museo degli Sguardi, porta un titolo che è un paradosso: nessuno, a conti fatti, lo vede più. Allestito dal 2005 nella Villa Alvarado sul Colle di Covignano, vicino al Santuario delle Grazie, è l’ultima incarnazione espositiva di una ricchissima collezione di arte etnografica riminese, come poche ce ne sono in Italia e in Europa. Chiuso al pubblico da anni, è visitabile solo su richiesta, grazie agli sforzi del personale dei Musei comunali. A ripensarlo dopo tre lustri dall’inaugurazione ci s’intristisce nel trovarlo così poco accessibile, e, anche quando lo fosse, così povero rispetto alle sue vaste raccolte racchiuse nei magazzini: più una piccola mostra, benché preziosa, che un museo, insomma una brillante prefazione, che porta la firma di Marc Augé, a un romanzo che non si può più leggere.

Tutto ciò malgrado l’intenzione ufficiale dell’ex assessore alle arti Pulini di riportarlo nel centro storico, l’impegno di Italia Nostra affinché le sue raccolte vengano perlustrate e riorganizzate secondo un metodo rigoroso, il lavoro svolto dall’associazione “Vite in transito” con appuntamenti culturali per farlo conoscere, una raccolta pubblica di firme e una giornata di studi che dovrebbe svolgersi in autunno.

Il racconto era cominciato nel 1972 con il Museo delle Arti Primitive, ispirato a esperienze parigine e newyorchesi e ospitato nel Palazzo dell’Arengo e del Podestà, poi spostato nel 1988 a Castel Sismondo e dedicato alle Arti Extraeuropee. Si esponevano i numerosi manufatti delle civiltà africane, precolombiane, e oceaniche che l’esploratore veneziano e collezionista Delfino Dinz Rialto (1920-1979), aveva generosamente donato alla nostra città. Alla raccolta originaria si sono poi aggregati quelle del biellese Ugo Canepa (1915-2004), del cesenate Bruno Fusconi e dei Frati Minori delle Grazie, ampliando lo sguardo sul bacino del Mediterraneo, sui mondi orientali, sulle culture sincretiche dei missionari, sull’Amazzonia. Fu il primo Museo che visitai da bambino, e ne fui esaltato: conobbi l’esistenza di arti diverse da quella occidentale, che non imitano il mondo visibile, ma parlano per simboli e sono l’emanazione di una realtà sacra. Non tanto arti “primitive”, bensì “primordiali”, fascinose per chi ama le avanguardie artistiche di ieri e di oggi, da Modigliani e Picasso a Basquiat, ma soggioganti per chi è come me sedotto dai miti e dai riti.

Anche oggi sarebbe un museo perfetto per una Rimini che accoglie turisti, viaggiatori,  immigrati da ogni parte del mondo, con straordinarie potenzialità civili e sociali, pedagogiche e poetiche. Il 2020 sarà l’anno di Federico Fellini: non so cosa penserebbe del Museo virtuale che gli dedicheremo; so per certo che un museo etnografico lo troverebbe entusiasta.

Alessandro Giovanardi