Home Storia e Storie Tumbe Medievali, l’unione fa la forza

Tumbe Medievali, l’unione fa la forza

Pubblichiamo stralci di uno scritto redatto da Nicola Leoni. Si tratta di una tesi di laurea in Archeologia dell’Emilia Romagna nel Medioevo intitolata Tumbe medievali nel territorio riminese, che descrive dettagliatamente l’esistenza di queste interessanti e funzionali fortificazioni sul nostro territorio.

È ancora piuttosto limitato l’interesse che la critica ha dimostrato nei confronti della tumba, una tipologia edilizia peculiare del territorio rurale medievale riminese. Da un punto di vista generale è possibile definire come tumba un insediamento fortificato di dimensioni non rilevanti, che sorgeva in posizione dominante al di sopra di aree coltivate e solcate da corsi d’acqua tali da ostacolare l’accesso militare al territorio. La derivazione etimologica del termine è tuttora oggetto di discussione, ma quasi unanimemente viene accettato tumulus, che indicherebbe il rilievo collinare non roccioso su cui la tumba veniva solitamente costruita. Infatti, la trascrizione del testo di un’epigrafe in versi risalente agli ultimi decenni del IX secolo menziona alcuni tumuli che il vescovo di Modena Leodonio aveva fatto erigere in osservanza al suo progetto di fortificare la propria diocesi […]. Questo documento, oltre che rendere un’efficace idea dell’insicuro momento storico, permette di trarre due notizie sulle fortificazioni volute dal vescovo: si menzionano infatti un tumulo munito di porte e un agger rafforzato da palizzata. Il tumulus citato sembra quindi possa identificarsi con un luogo sopraelevato arricchito di strutture difensive, delle quali non ci è dato sapere l’esatta conformazione. Queste prime fortificazioni poi, per concessione di guido di Spoleto (decreto datato 22 novembre 891) furono sostituite con la nuova e più munita cinta muraria della città. […]

Un po’ di storia…
Punto di partenza obbligato per tentare di definire una tumba nei suoi elementi costitutivi è il De agricoltura, trattato redatto dal bolognese Pietro de’Crescenzi agli inizi del XIV secolo. L’opera possiede tra l’altro un indubbia valenza storica, in quanto consente di constatare le condizioni di grandi instabilità in cui versavano le campagne romagnole all’epoca. Questa generale sensazione di insicurezza aveva indotto la popolazione a vivere in forma aggregata piuttosto che dispersa in piccoli nuclei legati ai singoli poderi. I villaggi per esempio basavano la propria strategia difensiva sulla forza del numero dei suoi abitanti piuttosto che su opere di fortificazione: essi si ponevano come diretti discendenti del primo incasellamento avvenuto a cavallo del Mille. Gli inizi del Trecento registrarono tuttavia una nuova e alternativa tendenza al decentramento, tendenza che traeva ulteriore spinta dalla vocazione agricola del territorio romagnolo. La dispersione della popolazione in ambito rurale necessitava però il ricorso alla fortificazione, segnatamente alla costruzione di nuclei murati minori che potessero fungere da punto di riferimento difensivo per i contadini. Per questo motivo si è parlato, e non a torto, di nuovo incasellamento.

Fuori
e dentro…
Le parole del de’Crescenzi gettano ulteriore luce su queste riflessioni: per coloro che sono dotati di sufficienti fondi, spiega il trattatista, l’allestimento di un’azienda rurale è possibile, a patto di richiudersi tra solide mura e dunque fortificare la propria posizione. Detta posizione dovrà essere scelta in luogo adatto dal punto di vista altimetrico e difensivo (il che significa situata al di sopra di un’altura protetta dal maggior numero possibile di ostacoli naturali che possano limitarne l’accesso). Qualità e complessità delle fortificazioni dipenderanno ovviamente dalla conformazione del terreno prescelto e dalle possibilità economiche del costruttore: così si passa dal castello o rocca inespugnabile alla più modesta e conveniente tumba. […] Dopo le opere difensive, il De agricoltura descrive in maniera particolarmente accurata la disposizione interna degli edifici economici e residenziali della tumba. […] Organizzata intorno ad una lunga corte centrale di forma rettangolare sui cui lati corti si aprivano le porte di accesso, la fattoria prevedeva una netta spartizione tra edifici riservati al signore (la casa o palatium) e quelli destinati invece ai tombari (lavoratori della tomba), agli animali e alle attività economiche. Questi ultimi comprendevano abitazioni, magazzini, ricoveri, sedi di lavorazione dei prodotti (aie, fosse da grano, cantine), eventuali laboratori artigianali e strutture aggiuntive quali il forno, il pozzo, la cisterna.
Per quanto riguarda le case, esse erano addossate ai muri interni della tumba. Tuttavia un documento trecentesco relativo a Santa Giustina testimonia come alcune abitazioni fossero appoggiate anche sul lato interno del recinto, ossia tra questo e il fossato. Le case dei tombari, in particolare, erano articolate in stanze residenziali, cantina, stalla e talora anche colombaia. […] Sulla piazza si affacciavano le attività economiche: il fabbro, il falegname, il sarto, il calzolaio. Sul suo suolo erano ricavate fosse da grano. Nei pressi della porta si svolgeva un piccolo mercato settimanale. A proposito della porta, il dispositivo d’ingresso poteva anche essere doppio. […] Nel suo trattato il de’ Crescenzi prescrive che la larghezza dell’accesso alla tumba sia di minimo 12 piedi, uno spazio adeguato al passaggio di un carro, 12 piedi equivalgono a 3,55 metri.

Due tumbe:
Tomba dei Battagli
e Tomba di Poggio Berni
Sono poche le tumbe del riminese che conservano resti affioranti: appena 11 su oltre 75 ricordate nelle fonti scritte. Questo impedisce di fatto una valutazione delle loro caratteristice generali che prescinda almeno in parte dal portato di dati e documenti notarili. Due tumbe notevoli dal punto di vista monumentale sono certamente la Tomba dei Battagli (nelle foto) e la Tomba di Poggio Berni, che si trovano in buono stato di conservazione nonostante le numerose modifiche e distruzioni subite nel corso dei secoli. La tumba più anticamente attestata è quella di San Martino in Cerreto detta anche dei Battagli dal nome della nobile famiglia riminese che vi risedette per gran parte della sua storia. Essa infatti venne eretta, stando alle notizie delle fonti, nel 1229 da Balduccio Battagli, membro di spicco della casata e fratello del cardinale Gozio. […] L’unico resto monumentale superstite della Tomba dei Battagli è il torrione difensivo, che sembra non aver subito radicali mutamenti nel corso dei secoli. A pianta rettangolare, misura circa 7×4 metri e ha un’altezza di 22 metri. La costruzione della torre, per quanto non menzionata dalle fonti, è da datarsi comunque ad un momento antecedente il 1376, anno in cui per la prima volta viene ricordata nelle cronache.

a cura di Angela De Rubeis