Troppi “inquilini” in quei… Casetti

    La strada che porta al carcere di Rimini passa attraverso una delle zone più belle della città. Serpeggia immersa tra colli verdissimi e rigogliosi, fino ad arrivare in un’ampia vallata dove l’aria è sempre profumata. Il timore, però, è che i carcerati tradotti qui sul cellulare o sulle macchine della polizia, non abbiano l’umore giusto per notare queste cose, o, peggio, le osservino con una incolmabile malinconia. Già, perché come insegnava De André, il carcere toglie alle persone prima di tutto la primavera.
    Non c’è dubbio, però, che ci sia prigione e prigione. Già il fatto di poter stare in campagna e di godere di spazi aperti è un privilegio nel mondo delle carceri italiane, fatte ancora di cortili di cemento grandi pochi metri in cui passeggiare in tondo durante l’ora d’aria. La maggior parte delle galere, infatti, risale al 1800, o al più tardi agli anni del fascismo, mentre i “Casetti” furono costruiti nei primi anni ’70. E questo spiega la scelta del luogo, fuori dal circuito urbano, la presenza di un campo sportivo, e un’organizzazione degli edifici più razionale. Ma, nonostante questo, anche i Casetti soffrono del problema cronico delle carceri italiane: il sovraffollamento. Su tutto il territorio nazionale ad oggi si trovano circa 54.605 detenuti a fronte di 42.890 posti. La situazione riminese è resa ancora più complicata dalla ristrutturazione della “seconda” sezione del carcere – definita dal presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli indegna per le sue condizioni – che fa passare la capienza nominale da 177 posti agli attuali 120. Come si può immaginare, la diminuzione dei posti non coincide con la diminuzione dei carcerati che infatti superano i 160, e si trovano in condizioni molto difficili, spesso anche più di 10 in una stessa cella, con tutte le difficoltà di convivenza che questo comporta.

    I “Casetti”: buona struttura
    Tra novembre e dicembre il carcere di Rimini è stato visitato due volte per altrettante indagini. La prima a cura di Antigone, un’associazione politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente studiosi, magistrati, operatori penitenziari, parlamentari e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale e che stila regolarmente un repporto sullo stato delle carceri della Penisola. La seconda della Commissione giustizia del Senato. In entrambi i casi, i Casetti sono stati definiti una struttura “buona” con standard molto più alti rispetto ad altre case circondariali.
    All’interno è presente un ambulatorio medico gestito dall’Ausl, un laboratorio odontoiatrico, un supporto psicologico. Ci sono 3 educatori che lavorano a progetti di mediazione familiare e a laboratori interculturali (se 3 educatori su 170 detenuti sembrano pochi, bisogna considerare che in altre strutture simili, spesso ce n’è uno solo). La convivenza è infatti uno dei grandi problemi del carcere che ha il 50% di stranieri che spesso parlano poco o male l’italiano, e si riuniscono in gruppi. La situazione si esaspera durante l’estate, quando la popolazione carceraria aumenta a dismisura – soprattutto per reati legati a stupefacenti – e molti detenuti non hanno familiari in zona o beni con sé. Fare delle stime precise è un compito difficile, in quanto la casa circondariale di Rimini non può ospitare detenuti con una pena più alta di 5 anni, in più, per la maggior parte gli ospiti scontano piccoli reati o, peggio, sono ancora in attesa di giudizio. Il numero, quindi, varia in continuazione, rendendo difficile fare delle statistiche. Di media, però, quasi la metà dei detenuti sono stranieri, mentre più della metà sono tossicodipendenti. Ancora, quasi il 60% è in attesa di giudizio. La custodia cautelare è contemplata dalla legge italiana – anche se fino alla fine del processo l’imputato gode di presunzione d’innocenza – il problema è che a volte, per colpa delle tempistiche dei processi, il carcere in attesa di giudizio si trasforma nella espiazione della pena, anche se ancora senza condanna. E spesso, quando alla fine la condanna arriva, il detenuto ha ormai scontato tutta la pena ed esce poco dopo.

    Tra affollamento e tanta noia
    Oltre all’affollamento e allo scontro culturale il grande problema del carcere è la noia. Può sembrare scontato, ma in carcere non c’è nulla da fare, e trascorrere una giornata può diventare una tortura. Se poi ci si trova in una cella insieme ad altre 10 persone, allora è davvero dura. M., un ragazzo di 25 anni, del Senegal, ha passato due anni ai Casetti. Pur affrontando il carcere con un certo pragmatismo, lamenta la difficoltà di trovare qualcosa da fare per ingannare il tempo. “Nel senso che in carcere «non si sta poi così male», ma non si sa come passare il tempo”. Ogni cosa diventa un possibile diversivo: le visite dei parenti, qualche lavoro, i corsi scolastici, o anche le visite con il legale, come conferma l’avvocato Paola Urbinati, di Rimini “Molti detenuti mi aspettano per chiacchierare, e spesso mi scrivono anche alcune lettere”. Ovviamente il “non si sta così male” va rapportato alla realtà carceraria. È un “topos” da sfatare che in carcere si faccia la bella vita, per quanto il carcere non debba essere un luogo di sofferenza.
    Lavorare in carcere, però, non è così facile. I lavori disponibili, come l’aiuto cuciniere, il giardiniere, l’addetto alle pulizie sono pochi, rispetto alle richieste, e spesso non si riesce a lavorare più di 3, 4 ore alla settimana. Lavorando, però, si guadagna, e il detenuto, così, può mettere qualcosa da parte per delle spese extra o per quando finirà la detenzione.

    Un carcere che fa scuola
    Diverso il discorso della scuola. Il carcere di Rimini è uno dei più “scolarizzati” sia della regione sia del paese. Un dato sopra tutti: su 170 detenuti ci sono 114 iscritti alle scuole elementari e medie. E in questo caso, nonostante sicuramente la possibilità di avere qualcosa da fare durante la mattina, la scuola non è solo un escamotage per passare il tempo. “Uno dei risultati migliori della scuola all’interno del carcere – racconta Giuseppina Martinini, dirigente scolastica della Scuola Media Bertola, che gestisce il Centro Territoriale Educazione degli Adulti – è che la maggior parte delle persone che esce dal carcere senza aver terminato le scuole, si iscrive ai corsi serali per poter conseguire la licenza elementare o il diploma di scuola media”.
    Due sono infatti i corsi tenuti all’interno del carcere, quello di alfabetizzazione elementare, che conta attualmente 42 iscritti, e due classi di scuola media, con 72 studenti. Le lezioni sono giornaliere e durano all’incirca 3 ore e mezza. “Le classi sono molto variegate. – continua la Martinini – Per quanto possibile cerchiamo di fare degli accorpamenti omogenei, soprattutto per i corsi di alfabetizzazione. Spesso ci troviamo con stranieri appena giunti che non conoscono una parola di italiano, né i caratteri latini, perché magari provenienti dalla Cina o da un paese di lingua araba. Diverso il discorso per le medie. Le classi sono più eterogenee e anzi, capita di lavorare anche con persone che hanno già titoli di studio o addirittura sono laureati”.
    Inoltre, il Centro Educazione per gli Adulti organizza corsi di scuola anche per la sezione Vega, quella che accoglie i transessuali, e per la sezione Andromeda, che ospita tossicodipendenti intenzionati a seguire percorsi di recupero, e quindi con maggiore libertà di movimento. “All’interno di Andromeda ci sono anche dei computer ed è quindi possibile organizzare corsi di uso del computer o anche corsi professionali e manuali”.
    Alla sezione Andromeda, che ora ospita 15 persone, a breve si affiancherà Cassiopea – la parte attualmente in ristrutturazione – con 50 posti. “La direttrice del carcere, la dottoressa Maria Benassi – continua la Martinini – ci ha già chiesto di organizzare altri corsi per la nuova sezione, che dovrebbe aprire entro breve”. I lavori per la nuova sezione dovrebbero concludersi a primavera. La data ufficiale ancora non si conosce. Riuscire a parlare con qualcuno dell’amministrazione o con la direzione del carcere è pressoché impossibile, e ancora una volta le sbarre della burocrazia e dei centralini si dimostrano più solide e impenetrabili di quelle reali.

    Stefano Rossini