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Sradicar e capitozzar

Editoriale, maggio giugno 2019

Guardo alcune fotografie riminesi d’inizio Novecento, quelle felici, con gli eleganti calessi in direzione del Teatro e quelle tragiche con gli accampamenti dei terremotati del 1916, sul piazzale intorno a Castel Sismondo; in tutte si notano alberi alti e belli. Forse non sono gli stessi platani circondanti il vergognoso parcheggio asfaltato che, fino a poco tempo fa, dava l’assedio al monumento malatestiano e oggi felicemente rimosso.

Purtroppo con il cemento, le auto, e il mercato sono stati “rimossi” anche gli alberi, tutti, nessuno escluso. Visto il progetto di connettere Castello e Teatro con un articolato giardino mi chiedo: perché non conservarli? Non ricordo ambientalisti che al tempo si stracciassero le vesti per lo scempio: probabilmente l’abbattimento fu considerato un “sacrificio necessario” a questioni tecniche che io, non ingegnere e non urbanista, posso non comprendere.

E se non si fossero mobilitati i cittadini non si sarebbe salvata almeno una parte delle essenze arboree dei Giardini Cervi, interessate dal nuovo percorso fognario, finendo tutte sacrificate al Moloch delle questioni tecniche.

Rimini con gli alberi non va d’accordo: a partire dalle potature che dovrebbero rappresentare quel nodo in cui cultura (botanica, agronomia, estetica) e natura s’incontrano. La moda diffusa è la capitozzatura, cioè il taglio indiscriminato del fusto e di grossi rami di un albero per ridurne le dimensioni in fretta e a lungo: applicata alle conifere, le deturpano in modo definitivo e innaturale. Ha un bel protestare la Società Italiana di Arboricoltura contro questo metodo perché non riduce il rischio né di ribaltamento né di cedimenti e renderà le piante più pericolose nel lungo termine. La barbarie continua.

Dei ricordi della mia vecchia casa ho a cuore soprattutto il vecchio fico che piantò il mio bisnonno Marino che non ho mai conosciuto; l’albero è per me soprattutto un simbolo universale della vita, si radica dove seppelliamo i morti, cresce con noi viventi e con gli alti rami sfiora il mondo degli immortali. Quando perdiamo questo rispetto materiale e spirituale, biologico e sacro degli alberi, perdiamo il senso di giustizia e bellezza che governa un giardino e una città.

Alessandro Giovanardi