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Sorprendente Antigone

Simonetta Solder (Antigone), Christoph Hülsen (Creonte), Alessandro Budroni (Corifeo) - Ph ANSC MUSA

A Santa Cecilia progetto Antigone, musiche di scena scritte da Mendelssohn sulla tragedia di Sofocle 

ROMA, 23 giugno 2025 – Abituati come siamo all’olimpica perfezione sonora di Mendelssohn, spesso a un passo dallo sconfinare in esecuzioni fin troppo rassicuranti e patinate, le musiche di scena composte per l’Antigone di Sofocle, appaiono quasi destabilizzanti. Sono in grado, infatti, di mettere in discussione interpretazioni tanto consolidate quanto convenzionali, anche se – va riconosciuto – limitatamente alla produzione strumentale. È vero invece che per quanto riguarda il teatro, seppure in Italia questo versante dell’attività compositiva di Mendelssohn sia assai meno noto, l’impressione è nettamente diversa: non si parla solo del celebrato Sogno di una notte di mezza estate shakespeariano, ma anche di musiche di scena per le tragedie classiche, di cui il talentuoso Mendelssohn padroneggiava contenuti e lingua.

Il direttore Francesco Lanzillotta – Ph ANSC MUSA

La figura di Antigone e il suo desiderio di dare sepoltura al fratello Polinice – gesto pietoso che il re Creonte nega con rigida fermezza – apre interrogativi che non hanno mai trovato una risposta univoca, da quando Sofocle scrisse questa tragedia nel 441 a.C., e con il tempo hanno finito per assumere significati archetipici. Da un lato, il re esalta leggi formulate dagli uomini; dall’altro, Antigone gli oppone leggi divine, destinate a valere in eterno e, dunque, superiori a quelle stabilite dai mortali.

Quando nel 1841 il ventiduenne Mendelssohn iniziò la stesura musicale, completandola come di consueto in brevissimo tempo, si avvalse della traduzione tedesca di Johann Donner, modellando la musica in modo assai puntuale rispetto al testo. Questa rara pagina, articolata in un’introduzione e sette scene per orchestra e coro maschile, è stata proposta a Santa Cecilia, nell’ambito di un più ampio progetto realizzato insieme al Teatro di Roma, che prevede anche la rappresentazione dell’Antigone di Anouilh e della stessa tragedia di Sofocle. Per superare l’ostacolo della lingua tedesca, il filologo Gianni Garrera ha curato un adattamento che prevedeva interventi esplicativi in italiano affidati a Massimo Popolizio: nella veste di voce recitante l’attore ha introdotto ciascuna delle scene. Il nucleo drammatico si è così concentrato sul rito della sepoltura che, in conseguenza della tradizione cristiana, ha assunto inevitabilmente significati diversi rispetto all’epoca classica e può essere letto anche come metafora, particolarmente calzante nel caso di Mendelssohn, del suo rapporto con la civiltà artistica e letteraria del passato: un’intenzione spesso manifestata dal compositore (basterebbe pensare alla sua meritoria riesumazione di Bach).

Sono significati che trapelano da una musica solcata da intense sfumature drammatiche, capace di guardare indietro – ad esempio ai grandiosi edifici oratoriali di Händel e Bach, e che pure lo stesso Mendelssohn scriverà – nonché nello stesso tempo di convivere, facendone propria la novità linguistica, con quella civiltà romantica ormai affermatasi nella cultura tedesca. Il direttore Francesco Lanzillotta, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha valorizzato l’architettura sonora, rendendo evidenti quei fremiti e quelle inquietudini di cui è ricca la partitura, come succede ad esempio nella danza delle Baccanti. Anche il trattamento corale di Mendelssohn ha trovato una buona risposta nella componente maschile del coro ceciliano (preparato da Andrea Secchi), da cui provenivano pure i solisti di canto impegnati in piccoli interventi. Un significato teatralmente più incisivo lo avevano invece le voci degli attori: in grande evidenza Simonetta Solder, che – attraverso una pregevole recitazione intonata – imprime ad Antigone, fin dal primo Melodram, accenti di struggente intensità drammatica. Accanto a lei erano Christoph Hülsen, nei panni di Creonte, e Alessandro Budroni nelle triplici vesti di guardia, servo e corifeo. Poi, naturalmente, il narratore Popolizio. Peccato, e solo nel suo caso, per un’amplificazione mal calibrata.

Giulia  Vannoni