Home Vita della chiesa Soffia il vento del Concilio

Soffia il vento del Concilio

Monsignor Luigi Bettazzi ha quasi 90 anni e un invidiabile primato: ha partecipato al Concilio. «Sì, io c’ero», sorride. Si mostra davvero in forma alla parrocchia della Colonnella, dove interviene in modo brillante, arguto e comunicativo, su di un tema a lui caro, “Il vento del Concilio”.
“Entrai in Concilio durante la seconda sessione, nell’autunno 1963, una settimana dopo esser stato consacrato vescovo ausiliare del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna”.

Il primo impatto?
“Splendido. Capii concretamente allora che cos’era l’universalità della Chiesa. 2500 vescovi provenienti da ogni parte del mondo; incontrai confratelli nati e cresciuti in Africa, nell’America meridionale, in Asia. Con le loro storie, con le loro culture quei vescovi rendevano il Concilio antropologicamente “ecumenico”. Mi colpì, poi, il dinamismo. Emergevano idee, c’era dibattito, si maturava insieme, passo a passo. I documenti scritti dalle commissioni preparatorie, presiedute da cardinali di Curia, furono sostituiti da testi elaborati dalle nuove commissioni, in cui le Conferenze episcopali avevano nominato vescovi e teologi di loro fiducia”.

Con che spirito, dato il momento non facile della Chiesa, vive questo cinquantenario di inizio del Concilio?
“Un pò di nostalgia per il fervore e l’entusiasmo che c’era allora, non solo dentro all’assemblea, ma soprattutto al di fuori, e anche con grande speranza perché, se è vero quello che diceva padre Congar che se il grande concilio viene completamente capito e attuato solo dopo cinquant’anni, voglio sperare che quest’anno susciti davvero e porti di nuovo profondamente a capire e attuare questo Concilio”.

Nella ricezione del Concilio si scontrano due interpretazioni: quella della continuità, promossa dal papa Benedetto XVI, e quella della rottura, avanzata per esempio da Alberigo. Da protagonista di quell’evento, quale è la sua opinione?
“La scelta fatta da Giovanni XXIII di un concilio non ’dogmatico’, ma ’pastorale’ può portare a concludere che, se c’è stata continuità dogmatica (nessun nuovo dogma e nessuna condanna, salvo quella della guerra ’totale’, cioè atomica, biologica, chimica), c’è stata però una discontinuità pastorale: basti pensare alla Bibbia, prima riservata a clero e agli studiosi oggi data in mano a tutti; o alla liturgia, prima misteriosa oggi partecipata; o all’ecumenismo, prima diffidato oggi incoraggiato, per riconoscere che si è avuta una qualche ’rottura’”.

Sedici documenti: qual’è il più rappresentativo del Vaticano II?
“Sono molti i testi significativi. Ricordiamo la costituzione Dei Verbum, che rilancia il valore personale della fede, il decreto Unitatis redintegratio, che apre al dialogo ecumenico con i cristiani non cattolici, e soprattutto l’inattesa costituzione pastorale <+cors>Gaudium et spes<+testo_band>, che ci fa guardare al mondo non come ad una realtà da condannare, ma come un’umanità con cui camminare verso il regno di Dio”.

Con tutti i problemi che oggi abbiamo vivi occorrerebbe un Concilio permanente. Qualcuno prospetta la necessità di un Vaticano III…
«No. Occorre dare pienezza al Vaticano II. Carlo Maria Martini da gesuita saggio non parlava di un altro Concilio. Diceva: per argomenti di attualità, ad esempio la sessualità, la pastorale dei divorziati, la bioetica, i vescovi di tutto il mondo si preparino, vengano a Roma, stiano un mese su quel tema, si discuta e si decida con il Papa. Non però come i Sinodi attuali, che sono organizzati e gestiti dalla Curia la quale trasmette il materiale al Papa che dopo un anno dice quello che crede, cose sagge, per carità… Fatto sollecitando la riflessione attorno a temi specifici su cui ci si prepara, si discute e si decide, lo strumento sinodale è una proposta saggia”.

Giovanni XXIII nell’ultima pagina del Giornale dell’anima affermava, rispetto alle critiche che avevano investito la sua enciclica Pacem in terris: “non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Le chiedo: è questo il profondo dinamismo delle riforme del Concilio?
“Io penso di sì, per esempio la Pacem in terris rappresenta una novità, perché per la prima volta un Papa non parla di questioni religiose rivolgendosi ai cattolici, ma di un grande valore umano, come la pace, rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà. E questo poi ha spinto il Concilio alla costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo. La Chiesa presenta i valori cristiani a tutta l‘umanità, anche a coloro che non sono cristiani, perché, pur non diventando Chiesa, continuino a camminare verso il Regno di Dio, che è il mondo che si apre ai grandi valori, di cui Dio è il sommo e che si apre agli altri; la Chiesa deve essere fermento e lievito per tutta l’umanità, perché diventi migliore. Il grande valore dell’uomo, della famiglia e di ogni famiglia, della cultura e di ogni cultura, dell’economia e di ogni economia, i valori della fede, in cui il cristiano trova il motivo in più per essere un buon cittadino, un buon essere umano, come tutti dobbiamo essere”.

Tema sempre molto vivo è il ruolo dei laici …
“La Chiesa richiama i principi, ma sono i laici che devono dare la loro testimonianza, la loro coerenza. Prima della lettera a Berlinguer, avevo scritto al segretario della Democrazia cristiana, dopo Tangentopoli, quando il presidente della Democrazia cristiana aveva detto: “vi meravigliate che facciamo così? in politica tutti fanno così”. No, allora non dire che sei cristiano: perché il cristiano deve portare in politica la traduzione della sua coerenza con il Vangelo nella onestà legalità nell’apertura nella solidarietà verso i più poveri e disagiati. Questa dovrebbe essere la testimonianza dei laici e come gerarchia dovremmo richiamarlo di più, e forse è una delle cose in cui il 50° del Concilio dovrebbe richiamare la priorità del popolo di Dio sulla gerarchia. Il primo testo della Chiesa era “Chiesa, gerarchia, fedeli”, i vescovi hanno voluto che fosse “Chiesa, popolo di Dio e gerarchia”.

Secondo il Concilio quali sono i principi non negoziabili?
“Per me il grande principio non negoziabile è la solidarietà, e dovremmo far capire che se ci impegnamo contro l’aborto e l’eutanasia è per solidarietà nei confronti del più debole. Non siamo convincenti se difendiamo la vita all’inizio e alla fine e non nel suo corso: se non siamo contro la guerra, se non cerchiamo di favorire il lavoro per i giovani, la possibilità del matrimonio perché le situazioni sono tali che li scoraggiano, la difesa della vita all’inizio e alla fine non è convincente se non è difesa nel suo corso. Il vero principio non negoziabile è la solidarietà nei confronti dei più deboli e dei più poveri, in ogni espressione”.

Un ultimo tema da lei toccato nella relazione è quello delle donne prete, anzi no, delle diaconesse…
“La difficoltà del confronto anche solo teologico è in parte condizionata dall’ecumenismo. Noi cattolici ci troviamo “a metà strada” tra i protestanti e gli ortodossi. Per i primi, soprattutto i calvinisti, come i valdesi delle nostre zone, il popolo di Dio è fondamentale. Non hanno neanche il sacerdozio, in quanto il pastore è soprattutto un garante della dottrina, e chi comanda è il consiglio pastorale.
Per gli ortodossi, invece, il clero ha un’importanza molto maggiore. Siccome noi ci sentiamo più vicini agli ortodossi, vorremmo arrivare all’unità con loro.
Sul tema ho scritto (anche il cardinal Martini lo sosteneva) che se il motivo per cui non si possono fare le donne prete è perché non c’erano nella chiesa primitiva, non c’è ragione perché non si facciano delle diaconesse, dato che erano certamente presenti. Ma siccome gli ortodossi sono contrari, per via dell’ecumenismo non se ne parla. E intanto ci allontaniamo sempre più dai protestanti!
Sono le fatiche del cammino umano, che a volte ha bisogno di tempi lunghi di maturazione…”

Una parola su Papa Francesco…
«Sono molto contento e pieno di fiducia per la scelta del cardinal Bergoglio come nuovo Papa perché viene dal terzo mondo. Se alla fine è emerso un nome fuori dai pronostici, che sono una cosa umana, significa che lo Spirito Santo ha suggerito bene ai Cardinali elettori chi doveva essere il nuovo Papa. Il nome Francesco è già un progetto, confermato dallo stile vita del Cardinal Bergoglio, sempre vicino alla gente ed ai poveri, che si è presentato in maniera semplice”. (GvT)