Pietà, il 18° film del sudcoreano Kim Ki-Duk (autore di film come Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, Ferro 3 e La casa vuota), Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, non propone redenzioni, ma si muove in un tragico percorso di violenza, vendette ed amori negati, in un contesto urbano “annullato”, tra squallide e misere officine e palazzi in costruzione che non verranno mai ultimati, con umili operai schiacciati da prestiti con tassi sempre più vertiginosi ed un sadico esattore che non esita a rendere storpie le sue vittime per incassare i soldi dell’assicurazione e racimolare il dovuto. Il denaro fa girare il mondo, ma la ruota gira davvero in modo stridente ed implacabile, frantumando sistematicamente gli esseri umani, colpiti da questa “furia umana” insensibile ed implacabile, anche quando si tratta di povere famiglie ridotte sul lastrico.
Proprio il violento recuperatore di denaro dovrà fare i conti col cuore quando si troverà davanti la madre che lo aveva abbandonato appena nato: a poco a poco la dura scorza del giovane, che continua imperterrito il suo crudele programma di riscossione debiti, sembra cedere di fronte alla necessità di ritrovare l’affetto perduto. La sorpresa a metà film spiazza lo spettatore e l’apparente pietà si trasforma in vendetta.
Film lacerante e duro, non adatto agli spettatori più sensibili, Pietà è un lancinante atto d’accusa contro un sistema legato al denaro (“che cosè il denaro?” la domanda che rimbomba nel film), dove il lavoro è diventato una sorta di incubo, incapace di sostenere economicamente individui e famiglie. Il tutto bagnato dal dolore di madri piangere sulla tomba dei figli, vittime dello spietato esattore e che risuona durante i 104 minuti di film.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani