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Seicento e novecento in abbinamento

Die Sieben Todsünden, in primo piano Danielle de Niese © Andrea Ranzi

È andato in scena a Bologna un dittico formato da Dido & Aeneas di Purcell e Die Sieben Todsünde di Weill 

BOLOGNA, 19 marzo 2024 – Due figure femminili, che assumono ovviamente pure un preciso significato metaforico, sono le protagoniste di un insolito dittico del cartellone bolognese. Quasi due secoli e mezzo separano Dido and Aeneas di Henry Purcell, rappresentata per la prima volta a Londra nel 1689, dal ‘balletto con canto’ Die sieben Todsünden di Kurt Weill (libretto di Brecht), andato in scena a Parigi nel 1933 con le coreografie di George Balanchine: eppure l’abbinamento funziona, grazie alle scelte musicali effettuate dal direttore Marco Angius e agli aspetti visuali dello spettacolo di Daniele Abbado, che – in un palcoscenico tutt’altro che facile da gestire come quello del Comunale Nouveau – riesce comunque a condurre l’attenzione dello spettatore sui fondamentali snodi drammaturgici.

Dido and Æneas, il soprano Danielle De Niese © Andrea-Ranzi

Al centro dell’opera lasciata incompiuta da Purcell c’è l’amore tra Didone ed Enea, reso immortale da Virgilio e destinato ad alimentare un consistente filone operistico. Nel libretto di Nahum Tate, però, sono le forze del male che congiurano contro la regina e intervengono per propiziare la partenza di Enea. Il poeta irlandese, inoltre, non accenna – nei suoi versi – alla saggezza della mitica fondatrice di Cartagine che, con sagacia, aveva fatto tagliare a striscioline una pelle di toro per delimitare il territorio concessole ed edificare la nuova città: tuttavia l’idea viene in parte recuperata dalla regia, attraverso l’ostensione di modellini e l’ininterrotto spostamento di coristi e danzatori in tuta da lavoro. La movimentazione di un palcoscenico smisuratamente lungo come quello del Nouveau è realizzata attraverso quinte scorrevoli e sapienti tagli di luce (firmate da Angelo Linzalata), mentre i costumi senza tempo di Giada Masi suggeriscono la differenza di classe fra i personaggi.

Ben evidente è invece il concetto di città nella seconda parte: nei Sette peccati capitali la protagonista, che Brecht sdoppia in Anna I e nel suo alter ego Anna II (chiamate a impersonare l’una il pragmatismo necessario a far soldi, l’altra i sentimenti), si sposta attraverso sette metropoli americane, i cui nomi campeggiano sotto forma d’insegne luminose. L’effetto visivo, molto colorato e in netto contrasto con le tenui sfumature di Dido and Aeneas, è reso ancor più divertente dai bellissimi costumi che occhieggiano al cabaret, al cinema e persino al circo, in perfetta sintonia con il sarcasmo del testo.

L’addentellato, però, avviene soprattutto sul piano musicale, grazie alla scelta di Angius d’inserire – in luogo delle parti mancanti nella partitura di Purcell – alcune musiche del novecento. Un primo innesto si realizza con i Cori di Didone di Luigi Nono e l’altro con un trio strumentale di Giacinto Scelsi: diventano in tal modo occasione per alimentare suggestive correlazioni con un organico in cui figurano strumenti come il clavicembalo, la tiorba e la chitarra barocca. E se non era semplice gestire tale amalgama sonoro in un ambiente così dispersivo, nei Sette peccati capitali tutto ha funzionato alla perfezione e il direttore è riuscito a ottenere dall’Orchestra del Comunale la giusta brillantezza per la scoppiettante musica di Weill.

Alcuni cantanti hanno interpretato entrambe le opere, a cominciare dal soprano Danielle de Niese. Prima è stata una compassata Didone, espressiva più che altro nell’emozionante finale; poi, indossate le vesti di Anna I, ha sfoggiato pregevoli doti da cantante-attrice sentendosi a suo agio nel personaggio. Mariam Battistelli ha interpretato un’appassionata Belinda, dall’ottima dizione e dal canto sempre morbido. Un Enea credibile sul piano scenico è stato Francesco Salvadori, seppure con un’emissione non troppo omogenea. Apprezzabile, nella sua unica aria, anche Paola Valentina Molinari (lo Spirito) e corretta Patricia Daniela Fodor, la seconda donna. Bruno Taddia impersonava la maga en travesti, mentre completavano il cast le due scalcinate streghe di Marco Miglietta e Andrea Giovannini. Entrambi sono tornati nei Sette peccati capitali, aggiungendosi a Nicolò Ceriani e Andrea Concetti, per formare un esilarante quartetto di ottimi caratteristi: la famigliola della protagonista, che vive abbarbicata al divano nell’attesa dei soldi procurati dalla ragazza. L’alter ego Anna II era invece un’effervescente Irene Ferrara, che le divertenti coreografie di Simona Bucci hanno valorizzato al meglio. Come, del resto, i movimenti degli altri danzatori.

Giulia  Vannoni