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Se la parrocchia diventa famiglia

Quando, 11 anni fa (1998), don Piero Battistini è diventato parroco a S. Giovanni in Marignano, si è “portato dietro” anche la parrocchia di S. Maria in Pietrafitta, dove era parroco dal 1979, facendo delle due una sola comunità.
Un’operazione, questa, che si sta verificando in tante altre parti della Diocesi, certo non senza disagi o preoccupazioni, ma con la sempre identica motivazione: razionalizzare il servizio religioso con le poche energie pastorali disponibili.

“In un primo momento anche qui c’è stata una certa preoccupazione, soprattutto a Santa Maria. Essendo la parrocchia più piccola, temevano di essere trascurati o passare in secondo piano. Quando, con un cammino graduale, si sono resi conto che non era così, e che anzi poteva essere un arricchimento reciproco, allora le cose si sono tranquillizzate. Hanno visto nei fatti che io non li trascuravo, anzi ho continuato ad abitare a Santa Maria. Poi c’è da dire che nei tanti anni precedenti in cui ero stato parroco solo lì, la comunità aveva fatto un buon cammino formativo e quindi i parrocchiani erano maturi per comprendere le nuove esigenze”.

San Pietro di San Giovanni e Santa Maria in Pietrafitta, messe insieme, contano oggi 5.000 abitanti circa: un impegno notevole per un solo prete.
“La provvidenza mi è venuta in soccorso, dandomi validi collaboratori nei Ministri istituiti e ultimamente col dono di un diacono permanente, Mario Temellini”.

Ma in giro si sa anche che a San Giovanni c’è un nutrito gruppo di Azione Cattolica…
“È verissimo. Da tanti anni in questa parrocchia l’Azione Cattolica coltiva e forma gli educatori che, insieme ai catechisti, sono la trave portante di tutta l’attività che viene svolta nei gruppi dei ragazzi e dei giovani. Devo sottolineare lo spirito di amore e di servizio che li anima e li rende responsabili nel loro operare, con la gioiosità contagiosa che li contraddistingue. L’Azione Cattolica, inoltre, aiuta la Comunità a non perdere di vista la dimensione della Chiesa diocesana, per non rischiare di chiudersi in se stessa”.

Dato dunque l’elemento umano su cui contare per l’attività pastorale, raccontaci un poco la vita concreta della tua comunità cristiana.
“Per cominciare dai massimi sistemi, mi pare che la Comunità parrocchiale di San Pietro e Santa Maria sia una comunità ben strutturata, dove si evidenziano i tre momenti fondamentali: Parola, Liturgia e Carità. Il problema grosso che si pone, ma che probabilmente è una costante di ogni generazione, è come passare da una liturgia come rappresentazione ad un momento in cui il vissuto viene attraversato dalla luce della fede. Ecco allora il nostro primo obiettivo: aiutare le persone ad avvicinarsi e ad accogliere la Parola di Dio come proposta di vita. Cerchiamo di farlo non solo con l’omelia nella messa domenicale, ma anche con l’incontro settimanale di lettura, nella preghiera, della Parola di Dio della domenica. E così pure le Giornate Comunitarie che nel corso dell’anno vengono proposte, intendono favorire una spiritualità incarnata”.

È vero che il cristianesimo, se rimane racchiuso fra le mura della chiesa, rimane sterile. Ma come portarlo fuori?
“Stiamo cercando di farlo con la famiglia. Da cinque anni circa in parrocchia abbiamo costituito una Commissione famiglia con lo scopo di richiamare l’intera comunità a mettere al centro della vita pastorale la famiglia stessa, poiché questa, in modo unico, vivendo annuncia, per cui la fede può diventare esperienza di vita. Così in questi anni il nostro grosso impegno è stato educativo e formativo, spostando l’accento dal singolo alla famiglia e dall’evangelizzatore di professione (prete, catechista, operatore…) alla comunità evangelizzante. Sempre in questa linea cerchiamo di lavorare per ricostruire l’alleanza necessaria tra famiglia, parrocchia e scuola, per sollecitare i genitori a diventare protagonisti e attori dell’azione educativa e formativa dei loro figli”.

Splendida intuizione, ma…
“In effetti è una gara dura, poiché oggi il rapporto tra l’uomo e le cose è mediato dalla tecnica e non dalle strutture umane, come famiglia, scuola, chiesa… Le strutture umane tradizionali erano di fatto luoghi educativi, palestre dove la comunione, la condivisione, la misericordia, il perdono, il senso di responsabilità prima venivano praticati nel vissuto quotidiano, poi concettualizzati. Oggi lo scenario relazionale non è più spontaneo, ma standardizzato e rispondente a logiche di funzionalità materiale, non aperto al reale incontro. Si punta di più sull’educazione individuale, perdendo di vista la relazione, il bene comune, l’apertura all’altro… Invece è’ nello stare insieme che si produce uno spazio mentale, un contatto che non è soltanto verbale”.

Se capisco bene, è restituendo alla famiglia il suo ruolo di protagonista in tutti gli aspetti della vita che si può sperare in un futuro migliore, anche dal punto di vista cristiano.
“Certamente. Noi lo crediamo fermamente ed è per questo che puntiamo molto sulla famiglia nel suo insieme. Con la Commissione Famiglia coltiviamo con sollecitudine il gruppo famiglie-adulti ed il gruppo delle giovani coppie: la loro opera è preziosa e indispensabile per la crescita dell’intera comunità, perché costituiscono un varco attraverso il quale entra la vita in tutte le sue istanze, diversità e problematicità”.

La pastorale familiare, probabilmente, non risponde a tutte le istanze di una intera Comunità nella sua molteplicità di espressioni…
“Per questo è attivo anche il Consiglio Pastorale Parrocchiale, che provvede a tutte le esigenze della parrocchia. In questi ultimi anni, in particolare, ha svolto un’azione importante per aprire la parrocchia al territorio, passando dalla difesa e dalla diffidenza verso l’esterno, ad una presenza fattiva, dialogando con lealtà e onestà intellettuale con i soggetti sociali e con le istituzioni, badando bene di non usare la parrocchia per un’azione strettamente politica e men che meno partitica. Questa azione ha già dato i suoi frutti, incoraggiando giovani e adulti ad assumere responsabilità nell’ambito dell’attività sociale e politica. Da questo punto di vista è stato di grande aiuto l’aver creato una Commissione di pastorale sociale”.

Abbiamo accennato all’inizio del nostro dialogo ai tre pilastri della vita parrocchiale: Parola, Eucaristia, Carità. Come è strutturata la testimonianza della Carità?
“Il motore di questa testimonianza è senz’altro la Caritas interparrocchiale, formata dalle parrocchie di San Pietro, Santa Croce e Santa Maria. Dobbiamo dare atto che, con il suo centro di ascolto, la Caritas fa un lavoro prezioso e indispensabile nel sollecitare la comunità a crescere nella carità e, nello stesso tempo, soprattutto in questo momento di crisi, segue tante famiglie e singole persone, sia per quanto riguarda i bisogni di prima necessità (cibo, abiti, suppellettili…), sia nell’affiancare tanti immigrati nei loro molteplici bisogni (casa, documenti…) e, a volte, offrendo loro sostegno economico per favorire progetti per l’inserimento”.

C’è anche un “braccio secolare” che muove, all’interno della parrocchia, le iniziative di carattere più ricreativo e culturale…
“Bisogna dirlo forte. Non possiamo fare a meno del nostro circolo Anspi Betania che si fa promotore di varie attività: film per i bambini, attività sportive e ricreative, gite…, creando momenti e occasioni importanti di incontro per tutti”.

Riscoprire l’autenticità delle relazioni interpersonali, con gli uomini e con Dio, ridare alla famiglia il suo ruolo di protagonista nella vita della parrocchia e nella vita civile, testimoniare la fede con l’amore verso le persone e le loro situazioni… Guardare al futuro con gli occhi della speranza: è il cammino, sempre antico e sempre nuovo, di ogni autentica comunità cristiana.

Egidio Brigliadori