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Rosaspina precursore della fotografia

In tempi in cui le immagini imprigionate in pesanti cornici non potevano circolare tanto facilmente, spettava alle incisioni il compito di divulgare l’arte riproducendo le opere in un formato più fruibile. Nel 1762 ebbe i natali a Montescudo l’incisore ed accademico Francesco Rosaspina a cui spettò il ruolo di promulgare l’arte del suo tempo – soprattutto bolognese e parmense – attraverso le sue “traduzioni” in inchiostro. Una lunga vita, la sua, che dallo splendore napoleonico si è tuffata nei moti risorgimentali (morì a Bologna nel 1841), oggetto di dibattito del sesto appuntamento della rassegna “I maestri e il tempo – Segni, visioni e tesori nascosti”, promossa dalla Fondazione Carim e curata da Alessandro Giovanardi. Titolo dell’evento: “Tradurre le immagini, Francesco Rosaspina incisore tra ‘700 e ‘800”, a cura dello storico d’arte Pier Giorgio Pasini, direttore della rivista Romagna Arte e Storia, massimo conoscitore delle arti figurative locali e, insieme ad Anna Maria Bernucci, autore della monografia Francesco Rosaspina Incisor celebre (1995).

Grazie all’operosità di Rosaspina e al suo enorme bagaglio di opere visualizzate abbiamo avuto la possibilità di conoscere tantissime pitture. Nel suo caso, il concetto di “segno” assurge a strumento per la moltiplicazione dell’opera; la sua capacità di incisore è stata messo al servizio della memoria storica come dimostra la carrellata di 50 immagini messe insieme da Pasini. “Il suo fu un nome molto noto – evince lo storico d’arte riminese –, ma allo stesso tempo di lui sappiamo molto poco. Fu incisore di vedute della Romagna e di Rimini. Non si dedicò mai ad altre arti. La tecnica dell’incisione fu ampiamente usata nel corso del Settecento, ad esempio, a completamento degli atlanti”. Lo storico d’arte contemporaneo di Rosaspina, Luigi Lanzi, parla così del suo tempo: “Il secolo in cui scrivo è stato il secolo del rame”. Le incisioni sfruttavano solitamente tale metallo morbido e duttile.

Si tratta di una tecnica assai ardita. Utilizzando una matrice di legno, le parti in rilievo vengono intinte nell’inchiostro, come in un timbro, per lasciare il segno (xilografia). La scuola di Rosaspina è ricorsa invece al rame dove le parti scavate ospitano la tintura. L’incisione sul metallo può avvenire in maniera diretta, scalfendone la superficie con una punta, o indiretta. È il caso dell’acquaforte dove la lastra viene immersa in una poltiglia nerastra formante una crosta, la quale viene in seguito incisa; l’aggiunta di un liquido corrosivo deteriora il metallo lasciando l’impronta intatta.

“Francesco Rosaspina fu un ragazzo vivace con poca voglia di studiare”, racconta Pasini. All’età di 8 anni la famiglia si trasferisce a Bologna ed egli passa la giovinezza in tipografia. Inizia incidendo santini, uno dei quali conservato a San Marino raffigurante il santo di Monte Titano con Sant’Agata. La prima commissione importante arriva a soli 17 anni dal riminese. Si tratta di una raffigurazione per un testo religioso di Saludecio. Da Cesena gli viene richiesta un’incisione di Malatesta Novello per il primo catalogo della biblioteca della città. Si trattava ancora della “prova di un dilettante autodidatta”.

Si dedica anche all’incisione dell’affresco di Piero della Francesca presente all’interno del Tempio Malatestiano, seppure pare che non sia mai giunto a Rimini, ma che abbia ottenuto un disegno dell’affresco da un compagno di Bologna. Fu poi lo stampatore riminese Albertini ad occuparsi della stampa. “Nella fase più matura il suo disegno acquisisce una incredibile precisione e freschezza”. Come rendere i colori dei dipinti originali con il bianco e nero dell’incisione? Quale differenza dare al rosso, al verde, al blu? “Questi fatti – prosegue Pasini – richiedono non una copia, ma un’interpretazione dell’originale. Per questo le incisioni si chiamano «traduzioni», in quanto trasportano una lingua fatta di colori ad una fatta di segni chiaro-scurati”. Egli iniziò così ad incidere una serie di quadri giunti all’Accademia Clementina di Bologna che frequentava, “un centro molto stimato nel mondo”, a riprova del fatto che “le tendenze moderne non erano così lontane da quello che si faceva a Bologna”. Rosaspina impara a rendere lo stile dei pittori: “Le incisioni che si riferiscono ad opere del Guercino, per esempio, fanno intuire i colori caldi con un chiaroscuro avvolgente, dove le immagini sullo sfondo sono un tutt’uno con la figura. Incisioni che gli hanno permesso di farsi conoscere alla critica come artista affermato”.

Nel 1790 Rosaspina passa alla storia vincendo il Premio Curlandese con un’incisione a granito puntinata. Acclamato accademico di voto, viene creata appositamente per lui la cattedra di incisione presso l’Accademia di Bologna. A Parma conosce Giuseppe Turchi, dimenticato pittore romagnolo di Savignano che visse a lungo a Roma per studi e i cui disegni vengono utilizzati come base da Rosaspina. Traduce poi un ritratto del defunto Gianbattista Bodoni – illustre tipografo con il quale Rosaspina tiene una fitta corrispondenza di migliaia di lettere – realizzato da Appiani, facendo notare tutta la sua “diligenza neoclassica”. “La diffusione delle riproduzioni fotografiche dalla metà dell’Ottocento – conclude Pasini –, ha ben presto fatto declinare la fama degli incisori e messo in ombra le loro opere, considerate meccaniche riproduzioni anziché ingegnose e raffinate traduzioni”.

Mirco Paganelli