“Alora?”. Lo si dice da romagnolo a romagnolo per indicare la seguente frase: “Ciao, come stai? Tutto bene? A casa, i figli, la moglie, il lavoro, dove sei stato tutto questo tempo che è un bel po’ di tempo che non ti si vede in giro?”.
È un sano, divertente esempio della lingua tutta particolare utilizzata in Romagna, e in questo particolare caso a Rimini. Fabio De Luigi e Paolo Cananzi ne avevano dato un magistrale saggio nello spettacolo che per qualche tempo portartono in giro, facendo “sbudellare” dalle risate i riminesi e non solo. Quella semantica romagnola tra “andare a baghina” e “viene da monte Sgrippone” (campagnolo, in senso dispregiativo) era un affresco simpatico, che aveva il pregio di far luce sull’utilizzo della lingua italiana “modificata” dal Romagnolo a causa della sua tremenda e ancestrale tara culturale.
Chi non lo possiede, si procuri velocemente “La piada nella roccia”: il pocket del comico riminese Paolo Cananzi e dell’esuberante Lia Celi è del lontano 1993 ma è tutt’ora godibile.
Un altro maestro del riminese “modificato” geneticamente e utilizzato per suscitare bonomia, è Paolo Cevoli. Dall’assessore Palmiro Cangini al Teddy Casadei imprenditore dei maiali, tutto il repertorio del comico riccionese è costellato (oltre che da una mimica geniale e inimitabile) da “Ah, dì…” (È così, cosa ci vuoi fare?) e parole scurrili che nel gergo perdono anche la loro carica di volgarità per indossare i panni dell’attributo salace e sguaiato.
Alcune delle parole più tipiche di questo particolare dizionario riminese-romagnolo-italiano, ora sono diventate dei bicchieri. Bicchieri da birra, per proseguire l’accostamento romagnolo accogliente, beone e un po’ scurrile, ma sempre tanto divertente.
Per celebrare la Romagna e il suo dialetto, Birra Amarcord ha infatti realizzato una serie di sei bicchieri ognuno con una parola romagnola diversa.
At Salut, Tin Bota, Tanimodi, Pataca, Sbùron, Bùrdel: sono queste le sei parole in dialetto romagnolo stampate sui nuovi bicchieri realizzati da Birra Amarcord. Per promuovere i sei bicchieri, in edizione limitata e in omaggio acquistando due bottiglie di Gradisca, Birra Amarcord ha ideato una serie di video virali per i social.
Bevi birra e impari il dialetto romagnolo: questi riminesi le studiano tutte.
La nuova divertente campagna video partita sui social vede protagonisti, insieme all’attrice Francesca Airaudo, i dipendenti dello stesso birrificio che si sono prestati per gioco e divertimento alla realizzazione dei video.
“Volevamo metterci la faccia – scherza Andrea Ciliberti, Direttore Marketing di Birra Amarcord e tra gli ‘attori’ dei video – In realtà, Birra Amarcord è un brand tutto romagnolo e questa, come altre iniziative, va proprio a consolidare il legame con la Romagna”.
Una parola in dialetto per puntata, una surreale Gradisca (personaggio del film ‘Amarcord’ di Fellini qui interpretata dalla Airaudo) nella parte dell’insegnante e degli “improbabili” alunni sono gli ingredienti di una serie di divertenti sketch.
“Abbiamo pensato alle parole in dialetto per dimostrare ancora una volta l’amore per la nostra terra – aggiunge Elena Bagli, titolare insieme al fratello Andrea di Birra Amarcord – Il dialetto fa parte della nostra storia e del nostro patrimonio culturale. Sono parole che abbiamo sempre sentito, fin da bambini. Oggi il dialetto è parlato purtroppo solo da pochi e si sta perdendo la tradizione della lingua dialettale. Le nuove generazioni non lo parlano praticamente più. Tenere vive alcune parole, le più conosciute e riconoscibili è importante”.
Il riminese è pigro dal punto di vista semantico e sintattico. Cananzi lo scriveva nel 1993: “Ti guarda, ti riconosce e ti dice: Allora?, che vuol dire: «Ciao, come stai? La famiglia tutti bene? Il lavoro, cosa fai, che non ti si vede mai in giro?». E l’altro, se è riminese pure lui, risponde: «Così, veh!», che alla lettera significa: «Sto così, guarda. Sai come va il mondo: la vita è dura per tutti, va tutto bene ma potrebbe andare meglio». Le vie di Rimini sono tutte un continuo di «Allora?» e «Così veh!”. È ciò che si può definire come Economia della Coinversazione”. Tin bota, pataca.
Tommaso Cevoli