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Riflessioni sulla Missione… di ognuno

bimbo medico

Sono passati ormai più di 6 anni dal mio arrivo in Zimbabwe come missionario diocesano a Mutoko; tante, tantissime cose sono accadute e sento che sono cambiato molto anche io. Marilena, con la quale ho condiviso questi anni insieme, dagli ultimi due, passa periodi più lunghi in Italia, in modo da riposarsi un po’ di più e se anche siamo sempre in contatto, mi accorgo di sentire seppur serenamente la mancanza di certe “condivisioni”, che facevano parte della nostra quotidianità e del nostro vivere qui insieme a Mutoko. Ciò mi fa meglio comprendere come possa essere stata la sua vita nei tanti anni in cui ha prestato servizio come unica missionaria diocesana qui.

Permettetemi allora di utilizzare questo momento di riflessione per condividere con voi alcuni pensieri, con quello stesso spirito, in modo molto aperto e da fratello. Appena arrivato in Zimbabwe, Marilena, vedendomi immensamente “lanciato” con il fuoco della missione, con fare affettuoso e un po’ scherzoso, non faceva altro che ripetermi che io ero ancora in “luna di miele” con il Signore, tanto era lo slancio emotivo che vivevo. In effetti sorrido a pensare a tutto questo perché era vero. Ripercorrendo i primi tempi della mia presenza qui a Mutoko, rivedo la bellezza della partenza, certo con le sue difficoltà, ma caratterizzata dallo spirito direi quasi della “prima ora”, di chi in pieno slancio emotivo, lascia le reti per seguire Gesù che chiama.
Nei primi mesi ed anni qui in missione, molte cose sono accadute <+testo_band>(anche se è vero che in Africa i tempi si dilatano, credetemi che ogni giorno è veramente una sorpresa e spesso non resta tanto tempo per annoiarsi!). Ho vissuto i primi tempi qui, con questo positivo impulso dello spirito e del cuore, che nelle mie preghiere ho sempre cercato di tenere vivo, proprio per pensare di non perdere la “spinta” e mi chiedo oggi se sono ancora così o se qualcosa sia cambiato.

Certamente ringrazio immensamente il buon Dio, perché veramente è sempre presente nella mia vita in modo profondo e vorrei anche dire che, seppur sia molto bello vivere di “romanticismo ed emozioni”, la vera vita e il vero senso della vocazione non può non essere “messa alla prova, perché torni a nostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà” (1 Pt 1, 6-7). Trovo pertanto assolutamente positivo che “la luna di miele” si trasformi in “quotidianità”, perché la vocazione si consolidi e si approfondisca nella vita di tutti i giorni.
Non sono un antropologo e non posso dire di aver viaggiato tanto, sono un missionario ma quasi mi vergogno a definirmi tale di fronte a chi mi ha preceduto nel servizio: Luisa Guidotti (oggi “Serva di Dio”), Caterina Savini e Marilena Pesaresi, persone che hanno vissuto veramente in prima linea, fronteggiando soldati o situazioni mediche disperate e da sole, senza minimamente contare sui mezzi e le risorse che abbiamo oggi. Sono un semplice dentista, una sorta di “cerusico del bush”, che oggi riceve il peso e la responsabilità di proseguire l’opera della dottoressa Pesaresi (e vi garantisco che per rendersi veramente conto di tutto quello che questa donna strepitosa ha costruito bisogna vederlo personalmente), eppure sono certo che sono qui non per me ma solo e soltanto per Lui. E’ il Signore che ci sceglie e ci dà poi la forza di superare i nostri limiti e la nostra umanità; non ci toglie la fatica ma la condivide con noi ed è proprio nella condivisione che poi diventa comunione, il senso di tutto.

Dico questo perché ho sempre pensato (e lo penso tutt’ora) che prima di tutto la missione è una questione di “essere” e, secondo, trovo che il senso della missione in particolare oggi per noi qui, stia nella “condivisione”. In tutti questi anni di vita a Mutoko, pensando al mio mandato di portare “Gesù ai fratelli dello Zimbabwe“ (paese con una certa presenza di cristiani, seppure con molte sette “fai da te”), ho sempre ritenuto che in primis questo significasse essere testimonianza attraverso un stile di vita quotidiana “semplicemente cristiano”, in mezzo alla gente. Cercare allora di garantire con la spinta della preghiera e della Fede: verità, onestà, correzione fraterna, attenzione per l’altro, servizio, spirito di comunità e condivisione. Tutto nelle più piccole e semplici cose del quotidiano, perché sia fatto ciò che è giusto e non, ciò che fa comodo. In Zimbabwe oggi, per l’ennesima volta si consuma una terribile crisi finanziaria e nel paese (estremamente ricco di contraddizioni), vi sono sempre più persone che vivono senza la minima prospettiva di un futuro.

Penso che questo sia l’altro fondamentale senso della nostra missione qui ed il traguardo più alto: quello di poter far sì che attraverso la condivisione, si diventi realmente comunità che vive e cammina insieme, che guarda al futuro con l’occhio della Fede e della Carità reciproca. Purtroppo anche qui a Mutoko troppo spesso (vuoi per cultura, vuoi per altro), manchiamo di allargare veramente ed in modo sincero il nostro cuore e le nostre attenzioni al vicino e non solo al familiare o a chi ci può rendere un favore in contraccambio. In un modo o in un altro è lo schema di base che si ripercuote a più livelli in tutta l’umana società. Fatichiamo a capire che la reale sopravvivenza è garantita laddove si è in grado di “spezzare il pane” per condividerlo, perché lasciamo spazio al Signore di operare il miracolo che l’umana natura non può fare, né razionalmente spiegare.

Permettetemi allora di allargare il senso della missione al suo vero significato: tutti in quanto cristiani siamo chiamati ad essere missionari. Come? Garantendo giustizia e Verità.
Per noi a Mutoko questo si traduce nel cercare di trovare il modo di camminare insieme, di fare esperienza che anche se abbiamo meno risorse possiamo guardare al futuro con speranza, proprio perché siamo insieme e ci aiutiamo l’un l’altro. Riuscire a capire congiuntamente che una comunità che pensa, si confronta fraternamente, progetta interventi insieme, contribuisce a far vincere “il bene e il vero”, sul “furbo e il comodo a discapito dell’altro”, è una comunità che vive il Vangelo e sperimenta la pace e la prosperità pur nelle difficoltà.

In Italia (ma vorrei dire in Europa e nell’Occidente) si traduce nel riscoprire attraverso la Fede che “senza di Lui non possiamo fare nulla” (Gv 15, 5); che è solo rimanendo in Lui che l’uomo acquista la vera libertà e realizza in pieno la sua esistenza e che la costruzione di un mondo migliore non è compito di qualcun altro ma parte proprio da ognuno di noi. Che possiamo contagiare il prossimo con la luce che portiamo quando viviamo nella Luce e che questa parte dalla comunione più alta che è principio di tutto: quella con il Signore, che si manifesta e si dona a noi ogni giorno nell’Eucaristia.
Lasciamoci contagiare, lasciamoci amare e crediamo che è proprio sulla base della nostra piccola disponibilità che Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Gv 6, 9) e che questa nella comunione con Lui, può cambiare l’umanità.

Massimo Migani