Il Ponte

Riccioneland

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Lo confesso, ormai il senso di inadeguatezza nel parlare di Riccione mi sta sopraffacendo.

Ogni volta che scrivo di questo luogo ormai mitologico avviene qualcosa di ancora più impensabile.

L’ultima vicenda, come noto, è quella di una magagna per cui tutti sono colpevoli e tutti sono accusatori, tutti sono vittime e tutti sono carnefici, tutti responsabili e tutti parte lesa. Ma di cui a trarne beneficio per il momento paiono essere solo gli avvocati incaricati di studiare iniziative legali e querele, per i quali il lavoro non manca di certo.

Una città dove ci sono due tifoserie che si scannano sui social network con toni che al confronto le disfide medievali erano tornei di bridge da circolo aristocratico, e una maggioranza silenziosa che ormai ha capito che bisogna rimboccarsi le maniche e andare avanti, consapevoli che a Riccione può succedere tutto e il contrario di tutto da un giorno all’altro.

Una città che a forza di buttare carichi pesanti sul tavolo ormai si sta pure dimenticando da dove è cominciato tutto questo (ve lo ricordo io, dal Trc). E una città dove le campagne elettorali non sono un intervallo di qualche mese tra un’amministrazione e l’altra, ma dove le amministrazioni sono la breve pausa di una campagna elettorale continua.

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