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Reality e l’ansia da successo

C’è l’Italia e l’Italia del Grande Fratello. La prima combatte la crisi, la seconda è luogo di “vita non vissuta”, di personaggi fittizi, di “non esistenza”. Una sorta di “acquario umano” che non è che un puntino luminoso su una mappa, destinato a scomparire ben presto (vedi ultima esemplificativa immagine). Con Reality Matteo Garrone, il regista di Gomorra non racconta il “dentro” del “GF”, ma il “fuori”, ovvero il mondo con i suoi freaks realistici molto più autentici dei burattini creati a regola d’arte dallo show televisivo.
Il protagonista è Luciano (l’attore carcerato Aniello Arena, da anni membro della Compagnia teatrale della Fortezza), pescivendolo napoletano, “sagoma” richiesta alle feste, ma battuto sul campo dalla popolarità della star Enzo del GF: il successo raccolto dall’inquilino della casa lo convince, anche su spinta dei figlioletti, a partecipare alle selezioni per il programma. Ha inizio così un ribaltamento di vita che lo porterà in un incubo, dove il quotidiano gli sfugge di mano, pur di entrare nella casa. Vende la pescheria, perde il contatto con la famiglia, si sente continuamente spiato da “quelli della televisione” convinto che lo controllino se può essere un personaggio appetibile, si rende generoso per alzare l’interesse attorno a sé e scivola inesorabilmente verso la depressione, in un vero e proprio “shock da GF”.
Il film di Garrone (Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes) è interessantissimo, ben costruito, sanguigno, verace, colorato e folle dove serve, abile nel raccontare un mondo che non c’è ed un altro che lentamente si sgretola, nel presentare un’ansia di successo che porta verso un’autodistruzione sociale, nel mettere in scena un’agonia da “apparizione” che rende l’uomo infelice e mancato protagonista della vita.