“Ragazzi, l’alcol vi rovina la vita!”

    La strada si sdoppia, l’auto sbanda, lo schianto. La macchina si capovolge, una volta, due, un pino sfonda il vetro ed entra nell’abitacolo. Marina entra in coma. Un “sonno” lungo dieci giorni, dal quale uscirà segnata. Per sempre. Cicatrici lungo tutto il corpo, ferri nel bacino, protesi alla bocca. Quello schianto le ha cambiato la vita. “Ragazzi, non bevete. All’inizio vi sembra di stare bene, di essere su di giri. Poi si entra in un tunnel. L’alcol ha rovinato la mia vita, potrebbe rovinare anche la vostra”.
    Marina è aggrappata alla vita per i capelli. Dal 27 febbraio scorso con le unghie cerca di uscire da quel tunnel pieno di bollicine: a Maiolo, in alta Valmarecchia, al centro di recupero della comunità Papa Giovanni XXIII, è approdata per quel motivo.
    Quel giorno del 2005, infatti, Marina era al volante ubriaca. Aveva deciso di andare nella capitale, a trovare la zia. Roma dista appena pochi chilometri da Anzio, un tragitto fatale. Marina è piena di alcol, l’asfalto s’increspa, lo schianto è tragico. “E pensare che i medici all’ospedale neppure si sono accorti che ero ubriaca. – racconta – Infatti non mi hanno tolto né la patente né i punti”.
    Quelli però sono arrivati lo stesso, e in misura abbondante, risultato delle ferite multiple che si è procurata lungo tutto il corpo.
    “Quello schianto, dolorosissimo, mi ha aperto gli occhi. Ho deciso di non toccare più alcuna sostanza”.
    Piange, Marina, e non se ne vergogna. Si asciuga le lacrime con le dita, poi le porgono un fazzoletto. Da quel tragico 2005 la depressione è in agguato, e non se lo nasconde. Ma vuole con tutte le sue forze uscire dal tunnel.
    “A causa dell’alcol ho fatto soffrire tanto la mamma – ammette – e anche il babbo, che è pure ammalato”.
    La fatica più grande, per Marina, ora è vivere con se stessa. Capelli castani, cortissimi, il volto reso duro da un’esistenza vissuta, Marina ti cattura con occhi verdi che sembrano sos lanciati nel cuore. Cerca riscatto, di riprendere in mano la vita, dopo una deriva durata tanto, troppo tempo.
    “Tutto è cominciato all’età di 14 anni: le prime canne, la cocaina. Il ragazzo di un’amica mi prese il braccio e mi bucò due volte”.
    È l’inizio di una frequentazione con l’eroina che dura fino ai 20 anni. Marina estrae le parole dalla sofferenza, una dopo l’altra, senza interruzioni.
    “I miei genitori si accorsero dei problemi, e mi mandarono al Ceis di Roma: entravo al mattino uscivo al pomeriggio. Andai avanti per sette mesi. Una volta uscita, iniziai a sniffare cocaina”.
    Poi lo stop, un lungo stop dagli stupefacenti. Dietro l’angolo per Marina c’è però l’angoscia dell’anoressia.
    “Sono stata ricoverata più volte, ma è un problema ancora irrisolto. Qua devo mangiare per forza quello che c’è, se fosse per me pane e pasta non li toccherei neppure”.
    In otto mesi è ingrassata di 10 kg, la guardi e ti chiedi che corpo avesse prima. Quando Sonia ha 30 anni i genitori si separano. Va a vivere ad Anzio con la madre e due barboncini nani che adora. Per due anni fila tutto liscio poi le cattive compagnie ributtano Marina nel vortice della droga. Prima la cocaina e poi l’alcol.
    “Un bicchiere di vino al ristorante, con mamma, la sensazione di dolce stordimento, un bicchiere dopo l’altro cadono i freni inibitori. L’alcol diventa compagno delle mie giornate”.
    Marina non lavora, l’unica occupazione è fare la spesa. Ma in quel carrello c’è sempre spazio, troppo, per alcolici di ogni tipo. E poi “le notti trascorse con Silvio, il mio ragazzo, nel pub, in discoteca, alcol e cocaina, cocaina e alcol”.
    Fino allo schianto. Il punto di non ritorno.
    “Ho iniziato a pregare Gesù: mi ha salvata due volte”.
    Uscire dal tunnel costa fatica. A Maiolo si prende cura di Mia, il cane portafortuna della casa.
    “Ogni mattina è una fatica, si ricomincia daccapo. Sono però sicura di una cosa: non intendo più far uso di sostanze né toccare un goccio di alcol”. Scoppia in pianto. Poi si riprende e senza asciugare le lacrime mi getta in faccia il suo appello, più vero di tante campagne di sensibilizzazione: “ragazzi, non bevete. L’alcol ha rovinato la mia vita, può rovinare anche la vostra”.

    Paolo Guiducci