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Quelli che si disperdono

Giacomo ha mollato in seconda superiore, dopo un percorso tortuoso e sempre in salita. Ora è magazziniere in un’azienda a due passi da casa, a Villa Verucchio. Giulia a 16 anni ha salutato compagni e insegnanti: “Non fa per me”. Si “sbatte” tra corsi e mansioni saltuarie ma di rientrare sui banchi non ci pensa affatto. Giorgio ripete l’anno (è il secondo stop), Alessia si assenta spesso. La prima pagella è in arrivo, ma lei non sembra darci troppo peso. Un po’ meglio va per Valerio: è arrivato in terza, con qualche debito formativo e un po’ di affanno.

Delusione, ansia, stress, crollo della motivazione: tante sono le incognite dietro a quei volti che piano piano lasciano l’aula per scappare chissà dove. Lo scarso rendimento sui banchi è solo una delle forme di dispersione scolastica, “malattia” che colpisce duro anche a Rimini. Chiarire i termini della questione è fondamentale per il direttore dell’Ufficio scolastico regionale, Stefano Versari.

“Con ‘dispersione’ spesso si fa riferimento a due fenomeni: da un lato il ‘ritardo’, cioè un percorso scolastico più ‘accidentato’, dall’altro il vero e proprio abbandono, cioè l’interruzione degli studi prima dell’obbligo formativo”. Siamo comunque in presenza di un disagio reale, e anche se i numeri non dicono mai tutto, rischiano di andarci molto vicini. Si possono confrontare i dati di un decennio. Il tasso di studenti che negli anni 2006-07 e 2007-08 non restavano nel circuito scolastico riferito al primo anno di corso delle superiori, era del 7,4% (221 studenti), mentre al secondo anno è del 5,4% (142). In entrambi i casi, maggiore propensione all’abbandono è mostrata dai ragazzi piuttosto che dalle ragazze. Dieci anni dopo, nel 2018, le percentuali della regione sono dell’11,5%, buone se confrontate con il resto d’Italia (15-16%, ma l’Europa punta al 10%).

Storicamente, Rimini ha sempre sventolato numeri migliori. L’assessore alla Scuola del comune capoluogo, però, lancia un allarme. “I numeri ci raccontano già che gli studenti a spingere per sempre off sul proprio schermo, solo nei primi quattro mesi dell’anno scolastico 2020/2021, sono aumentati di oltre il 40% rispetto a tutto il 2019”. La percentuale si riferisce alle scuole elementari, medie e superiori del Comune di Rimini, ed è frutto di un abbandono di 60 ragazzi, contro i 40 della media precedente. Il fenomeno della dispersione scolastica non è nuovo, ma il prolungarsi dell’emergenza sanitaria, con i suoi pesantissimi riflessi sulla scuola, sta dunque “aggravando una situazione.

Questa volta hanno spinto off sul proprio schermo. Solo nei primi quattro mesi del 2020/21 sono aumentati del 40% rispetto al 2019 già difficile” commenta Morolli.

“La vera fetta di quanti hanno lasciato non è possibile saperla con esattezza, soprattutto se hanno raggiunto l’obbligo dei sedici anni.

Quest’anno ancora di più, visto che non si tratta di vedere un banco vuoto, ma di verificare un mancato collegamento via web dalle mille cause”. La didattica a distanza ha lasciato il segno. “Qualcuno ha lasciato, qualcuno non si è mai presentato nemmeno in video, qualcuno ha ridotto drasticamente il rendimento scolastico”. Per Morolli affrontare il tema dispersione scolastica “non è solo una questione privata, non riguarda solo queste famiglie, e nemmeno le singole scuole, ma il nostro futuro come comunità”.

Gli anni più critici sono queli del biennio delle superiori. “Nel nostro istituto la situazione è sotto controllo. – afferma Christian Montanari, dirigente scolastico del Liceo Scientifico Einstein di Rimini – Non ci sono casi di abbandono, ma 5 cambi di istituto nella prima classe che non ritengo un elemento di criticità ma – nonostante il percorso di orientamento precedente – una possibilità di posizionarsi, per favorire un percorso di crescita”.

La didattica a distanza non favorisce, specialmente i ragazzi che più di altri necessitano di interazione e mostrano più difficoltà nel concentrarsi. Per accompagnare il più possibile gli studenti, l’Einstein ha attività “personalizzata di recupero, sportelli di studio a piccoli gruppi”.

Ritornando alla dispersione, perché i ragazzi lasciano?

Montanari individua due fattori, due eccessi: da una parte genitori e adulti che accompagnano fin troppo i ragazzi, e non li aiutano a responsabilizzarsi”. Di contro, quegli ambienti familiari in cui “il ragazzo non si sente invece sufficientemente condotto, si percepisce abbandonato”. In generale, servirebbe più capacità di sognare, di proiettarsi nel futuro, di creare un percorso, di non ridurre al tutto e subito e ad un utilizzo esclusivamente utilitaristico del titolo di studio. “La metafora della semina e la pazienza dell’agricoltore per un raccolto copioso, fanno al caso nostro” chiosa Montanari.

Stefano Versari al tema della dispersione ha dedicato un libro. Il direttore dell’Ufficio scolastico regionale individua quattro forme di disagio. “Quello che deriva dalla povertà, quello degli immigrati, quello del disabile e quello dello smarrimento del senso della vita”.