Quelle povere formichine riminesi

    Che gli ultimi anni siano stati particolarmente difficili per le famiglie riminesi non è più, da tempo, un mistero. La crisi economico-finanziaria, l’aumento vertiginoso della cassa integrazione, le sofferenze registrate dalle imprese, non solo piccole, per non parlare delle persone che si sono ritrovate senza lavoro.
    Tempi di magra, dunque, di fronte ai quali gli ultimi dati Istat relativi al calo del reddito delle famiglie italiane, non fanno stupire più di tanto. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, nel 2009, la ricchezza degli italiani ha registrato un calo del 2,7% rispetto all’anno precedente: si tratta della prima flessione rilevata dal 1995. Sempre in base alle cifre Istat, l’impatto è stato più duro nel Settentrione (-4,1% nel Nord-ovest e -3,4% nel Nord-est) e più contenuto al Centro (-1,8%) e al Sud (-1,2%).
    Come sarà andata nel Riminese? È facile aspettarsi una situazione simile a quella registrata a livello nazionale oppure Rimini può essere considerata un’ “isola felice”? Dati specifici relativi al nostro territorio, ancora non sono a disposizione. Cerchiamo dunque di arrivare ad una risposta per “vie indirette”. L’inchiesta di apertura dell’ultimo numero del mensile TRE-TuttoRiminiEconomia, supplemento de il Ponte, contiene già alcuni elementi che potrebbero fare al caso nostro. L’indagine riporta l’andamento dei depositi nelle banche della provincia nel periodo dal 2007 al 2010. Il risultato, a prima vista, sembrerebbe dare il territorio riminese in buona salute visto che anche dopo lo scoppio della crisi economica i depositi bancari complessivi hanno continuato ad aumentare, salendo dai 4,3 miliardi del 2007 (anno pre-crisi) a quasi 6 miliardi nel 2010. Da 13mila a quasi 18mila euro i depositi pro capite. Una crescita che ha fatto aumentare anche il peso dei depositi sul totale regionale: dal 5,8% del 2007 al 7% del 2010. L’aumento massimo si è registrato dal 2008 al 2009: +19,3% in provincia di Rimini contro un aumento medio regionale del 5,5%. Dal 2009 al 2010 i depositi complessivi a Rimini sono cresciuti invece del 3,7% (-3% il dato regionale).
    L’inchiesta, curata da Mauro Bianchi, riporta anche il trend dei depositi delle sole famiglie riminesi, saliti, dal 2008 al 2009, del 23,1%, quattro volte tanto il tasso di crescita nazionale. Dal 2009 al 2010 +1% contro un calo in regione del 5,8%.
    Quale lettura dare a questi dati? Lo chiediamo a Maurizio Mussoni, ricercatore di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Bologna, Polo di Rimini.
    Prof. Mussoni, come spiegare questi aumenti riportati dal mensile TRE? Sono da leggere in controtendenza con il calo del reddito delle famiglie italiane registrato dall’Istat?
    “No, semmai è il contrario. È dimostrato scientificamente che è proprio nei periodi di crisi e quando i redditi e la ricchezza diminuiscono, che i risparmi delle famiglie tendono ad aumentare. In altre parole, quando si ha del reddito a disposizione, o si spende nei consumi o si tiene da parte. Ed è proprio nei periodi di incertezza economica come quello che abbiamo registrato negli ultimi anni che si accumulano risparmi per far fronte a spese impreviste o in attesa di tempi migliori”.
    C’è anche un altro dato interessante: l’aumento dei depositi nel Riminese è stato più consistente che nel resto della regione. Per quale motivo secondo lei?
    “I motivi possono essere due. O la crisi nella nostra provincia si è sentita di più oppure molto può aver influito il rientro dei capitali dall’estero per effetto dello scudo fiscale che ha portato ad un flusso di denaro enorme, frutto di evasione, prevalentemente dalla Repubblica di San Marino. Non è però ancora possibile definire il peso in percentuale dell’uno e dell’altro fattore”.
    È ragionevole pensare però che il secondo elemento, il rientro dei capitali prima gestiti in nero, abbia avuto una grossa rilevanza…
    “Sicuramente ha influenzato l’aumento dei depositi dal 2009 in avanti. Ma ripeto: anche la crisi incide molto sull’incremento dei risparmi proprio perché è scientificamente dimostrato che diminuisce la propensione al consumo”.

    Alessandra Leardini