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Quell’Amarcord è un vero cinema

A pochi centimetri da chi ha lavorato con Al Pacino, Marlon Brando, Sean Connery e Paul Newman. Grazie alla Fondazione Fellini che in pochi anni ha permesso la venuta a Rimini di Scorsese, Polanski, De Oliveira e Olmi, tutti insigniti del Premio Fellini, il tradizionale riconoscimento annuale che la Fondazione assegna ad un maestro del cinema alla fine del convegno felliniano, dedicato questa volta alla sceneggiatura, con affettuoso ricordo di Tullio Kezich, la città ha incontrato e ascoltato Sidney Lumet, personalità significativa per il cinema mondiale.
Classe 1924, Oscar alla carriera nel 2005, filmografia ricchissima con titoli come La parola ai giurati, L’uomo del banco dei pegni, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Serpico, Quinto Potere e l’ultimo Onora il padre e la madre (sta lavorando ad un nuovo film ma per scaramanzia non ne parla), Lumet, a proposito di Fellini, esalta più Amarcord e Satyricon che 8 e 1/2 e trova che il finale di E la nave va sia il colpo di massima genialità del riminese, con quello svelamento della finzione cinematografica: “tutto è falso e quindi tutto è vero allo stesso tempo”.
Per l’uomo che ha diretto Network (in Italia uscì con il titolo di Quinto potere) nel 1976 sul pericoloso strapotere del piccolo schermo, la situazione è ulteriormente peggiorata: “oggi la televisione porta ad un sempre maggior isolamento. La solitudine è aumentata di fronte al piccolo schermo”. Conosce benissimo i grandi classici del cinema italiano, ma non le opere più recenti, “perché a New York sono scomparse le sale che permettevano la visione collettiva di film europei e sovietici e resistono solo le multisale, espressioni di un mercato immobiliare che fagocita tutto e tutti, in primo luogo i piccoli locali che non riescono più a vivere con i soli biglietti staccati”.
Per lui che ha diretto grandi attori come quelli già citati e film “politici” non è vero che il cinema di oggi non abbia eguale spessore: “attori come George Clooney o Matt Damon riescono ad alternarsi tra film per il grande pubblico ed opere più personali e coraggiose. Ma anche oggi si fanno film «politici», tutte le volte che si parla dell’individuo e del suo rapporto con la società è cinema politico”.
Prova sempre tanto con gli attori coinvolti nei suoi progetti cinematografici, almeno due settimane prima di girare. Il rapporto spesso si esaurisce alla fine delle riprese “ma mi è capitato di incontrare Katharine Hepburn dieci anni dopo aver lavorato insieme ne Il lungo viaggio verso la notte e abbiamo ripreso una questione lasciata in sospeso ai tempi del film”. Tanti i ricordi e gli aneddoti, ne emerge uno su Anna Magnani, “terribilmente insicura durante la lavorazione di Pelle di serpente, sia per il fatto di dover recitare in inglese sia per trovarsi davanti ad una star in evoluzione di grandezza come Marlon Brando. Ma alla fine fu meravigliosa e mi sono sentito onorato di lavorare con lei”.
Autore dallo stile profondamente lineare e rigoroso, si trova in sintonia con le nuove tecnologie digitali. Ma non è a favore del 3D e cita la frase di un celebre distributore newyorchese all’uscita di uno dei primi film in rilievo negli anni ’50: “volete vedere un bel film o un leone sulle ginocchia”?.
Stuzzicato su Obama risponde che lo “reputa una brava persona, ma si troverà tutti contro, anche il suo stesso partito, perché non c’è da riporre troppa fiducia nella politica”.

Paolo Pagliarani