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Alla ricerca del Dio perduto

Il cammino alla ricerca di Dio è tra i più remoti della storia dell’umanità, eppure sempre nuovo e attuale, inesauribile nel suo significato per credenti e non credenti, per tutti coloro che sono alla ricerca di un senso, pellegrini dell’assoluto o “mendicanti del cielo”.
La proposta di tornare a riflettere insieme sul senso di questa ricerca e sulle vie della conoscenza di Dio nel tempo presente, è stata recentemente sollecitata, in ambito ecclesiale, soprattutto dal magistero di Benedetto XVI, che ha più volte richiamato la cultura contemporanea alla sfida di “allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia”, nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.
A tal fine l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” ha dato il suo contributo specifico “per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza” (cfr. Benedetto XVI). Ciò è avvenuto anche attraverso la Prolusione al nuovo Anno Accademico 2009-2010 che si è svolta, venerdì 13 novembre 2009, in sala Manzoni.
Monsignor Antonino Raspanti (nella foto) ha guidato una riflessione pubblica dal titolo “La ricerca di Dio. Le sfide attuali della fede e della cultura”.

All’inizio del suo intervento, Lei ha posto particolare attenzione alla sfida educativa, evidenziando la tematica memoria-tradizione, per poi introdurre il tema della ricerca di Dio nella cultura europea del passato e del presente, così come papa Benedetto XVI l’ha espressa nel discorso al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008.
«Nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva formata passo passo una nuova cultura».
“Così il Pontefice legge in un caso storico emblematico, il fenomeno benedettino, il crearsi di una nuova cultura attraverso la frequentazione delle testimonianze letterarie del passato, ovverossia una memoria animata dalla ricerca di Dio. – sottolinea Monsignor Raspanti – L’anima motrice era la ricerca di Dio, desiderio che da solo è in grado di rigenerare il senso dell’esistenza sul piano individuale e congiuntamente sociale, risignificando le relazioni e riorganizzando la società. A partire da quel desiderio i monaci si misero pazientemente e docilmente alla ricerca dei pezzi di un puzzle in frantumi, lo splendore della civiltà greco-romana e patristica, ricostruendo di fatto una nuova civiltà adesso totalmente incentrata sul Cristo”.

La via della parola
Intrinseca esigenza della ricerca di Dio nel cristianesimo è la cultura della parola, percorso attraverso il quale Dio incontra l’uomo.

“Questa via implica di per sé l’esistenza della comunità e un linguaggio quale luogo comune nel quale gli uomini si incontrano tra loro e con Dio. Se questa parola poi prende corpo in un libro, le Scritture, e genera una scuola, una formazione e una biblioteca, allora ben si comprende che la religione vive soprattutto nell’universo simbolico a cui dà vita, perché la Parola di Dio ci raggiunge soltanto attraverso la parola umana. Dio parla a noi solo attraverso gli uomini, mediante le loro parole e la loro storia. Si apre la strada all’interpretazione delle Scritture nel delicato intreccio tra lettera e spirito, che il medioevo monastico ha sviluppato ampiamente sulle basi gettate in epoca patristica. Dall’unione con Cristo è mossa la ricerca di Dio, da cui il monaco non si distacca nel costruire il mondo. Anzi, se ne arricchisce, perché si fa partecipe del lavoro con il quale Dio ha creato il mondo e continua a costruirlo nella e con la storia degli uomini”.
Tornano così in mente termini e temi della Lettera ai cercatori di Dio, che i vescovi italiani hanno pubblicato nella scorsa Pasqua, esprimendo la convinzione che «chi cerca ragioni per vivere, in qualche modo e nel profondo della sua attesa, cerchi Dio.
“Questa ricerca di Dio è individuata nell’inquietudine diffusa, in cui è apprezzata la lotta per non cadere nello scoraggiamento, nello sfinimento o nel semplice oblio causato dalla cultura anestetizzante del benessere. Anzi, si intravede nell’inquietudine una prossimità tra credenti e non credenti, dal momento che gli stessi credenti sono indotti a cercare ogni giorno l’incontro con un Dio che si dona e sottrae insieme.
La ricerca è una diffusa attesa di qualcosa – o di Qualcuno – cui si possa affidare il proprio desiderio di felicità e di futuro, e che sia in grado di dischiuderci un senso, tale da rendere la nostra vita buona e degna di essere vissuta”.

La teologia come sostiene la ricerca?
Qual è il compito della Teologia?

“Per delineare il compito che grava sugli studi di scienze religiose, è bene ricordare che la cultura moderna in alcuni versanti cerca di eclissare la ricerca del senso con l’ebbrezza del consumismo e del divertimento. In altri versanti, però, dà sfogo a questa ricerca secondo precisi orientamenti. Si pensi a molta letteratura o cinematografia ove si esplora la volontà umana di oltrepassare i limiti dell’esistenza terrena tramite mezzi che oscillano dall’onirismo ai poteri speciali e paranormali, alla stessa fantasia, al mito leggendario e ancestrale, perfino alla morte; oppure, in porzioni più elitarie, si addentra in percorsi classici rimodellati, che si aprono ad orizzonti anche religiosi, oltre che artistici, filosofici e quant’altro v’è di nobile, ma tendono a escludere esplicitamente il cristianesimo. Inoltre nella proposta del Progetto culturale i vescovi italiani riconoscono che la vita di tanti credenti, ben inserita in ambito economico, sociale o culturale del Paese, sia soggetta a comportamenti ed a mentalità estranei al Vangelo o incoerenti con esso, e che in taluni ciò accada inconsapevolmente.
La teologia è impegnata, pertanto, nel sostenere una ricerca di Dio attenta all’umano nella sua globalità ed unità del vissuto, compiendo una lettura delle tendenze della cultura contemporanea non difensiva, ma alla maniera dei padri della Chiesa.
Le figure del teologo e di coloro che si impegnano nello studio della teologia si accostano e si collegano con quella del testimone, poiché si dedicano all’esercizio rigoroso e critico dell’intelligenza, rinnovata e permeata dalla carità, all’interno del medesimo orizzonte di questo: il testimone ha esplorato coraggiosamente questo orizzonte fin nelle profondità, allargandone da pioniere i confini. Egli è chiamato a rendere ragione di una fede che non è una visione personale, ma l’oggettivo dono divino, che non rimane astratto ed astorico, ma permea e conduce il corso della storia.
Con il Concilio Ecumenico Vaticano II si è intensificato tra i fedeli, laici e religiosi, un vivo interesse per lo studio della teologia e di altre scienze sacre, per arricchire con esse la propria vita cristiana, essere capaci di dare ragione della propria fede (cf. 1 Pt 3,15), esercitare fruttuosamente l’apostolato loro proprio e poter collaborare con i ministri sacri con la loro specifica missione”.

Il futuro degli Istituti
Quali sono gli obiettivi dei nuovi Istituti di Scienze Religiose (ISSR)?

“Vogliono essere luoghi in cui si incrocino e si integrino la ricerca teologica, i saperi delle scienze umane e sociali e, all’occorrenza, ulteriori saperi ai quali si dedicano gli indirizzi specialistici, rispondenti all’inserimento dei fedeli sia nella Chiesa sia nella società. Il percorso formativo si inscrive nell’impegno della comunità ecclesiale a mediare il senso pieno della vita di fede, con le sue pratiche, le decisioni e le rappresentazioni, nelle molteplici esperienze delle nostre esistenze contemporanee.
Non sfugge, da una parte, la volontà dei pastori di evitare che la teologia rimanga chiusa in un ghetto, destinandola quasi esclusivamente ai candidati agli ordini e rinunciando così a farle sprigionare quell’energia che fa assumere alla fede una rilevanza anche nel tessuto civile. D’altra parte, c’è l’insistenza sulla «professionalità» delle figure da creare. Il termine può sembrare improprio per descrivere alcuni ministeri pastorali, ed in parte lo è. Esso significa sia la serietà scientifica del percorso formativo degli ISSR sia la volontà di superare la situazione del passato, in cui la formazione di molti operatori pastorali, e talvolta quella degli insegnanti di religione cattolica, è stata lasciata al pressapochismo, all’intuizione del «tutti possono farlo… con un po’ di pratica» e, in ogni caso, ad una formazione non rigorosa né esigente. Adesso, invece, si vuole integrare dignità e rigore accademico, competenze funzionali specifiche e visibilità all’esterno del corpo ecclesiale. «Professione» significa che non ci si improvvisa, che non si acquisiscono semplici abilità tecniche o nozioni teologiche, ma, al contrario, essa si matura in un percorso esigente e pubblico che permetta ad una vocazione personale di trovare spazio per crescere, strutturarsi, assumere criticamente responsabilità ecclesiali e civili in modo creativo ed efficace”.

Francesco Perez