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PASQUA 2025 Qui cambia la storia

Giovanni da Rimini fu uno dei fondatori della cosiddetta scuola riminese del Trecento. L’opera scelta per augurare a tutti una buona, santa Pasqua è l’icona pasquale “Le Pie Donne al Sepolcro”. Si tratta di una tempera e oro su tavola databile entro il 1310. “Racconta gli episodi salienti della vita mistica del Salvatore dalla Natività al Giudizio Finale, rifacendosi soprattutto al linguaggio simbolico bizantino, ma con un’attenzione stilistica a Giotto e a Pietro Cavallini” fa notare Alessandro Giovanardi. Le donne parlano con l’angelo che evoca Gesù già risorto. E vivo oggi.

Risorgere con la pittura

La più seducente raffigurazione pasquale riminese è il Noli me tangere. Dal dipinto della Chiesa di San Giovanni alla tavoletta di Pietro da Rimini

Affresco abside SantAgostin, ‘Noli me tangere’

La più seducente e misteriosa raffigurazione riminese del Cristo pasquale, e quindi di Gesù risorto è l’ampio e suggestivo Noli me tangere, dipinto sulla parete di fondo della chiesa di San Giovanni Evangelista, più nota come Sant’Agostino. Ed è anche la più antica in città: fa parte di un ricco ciclo di affreschi, riemersi con il ter- remoto del 1916 e realizzati intorno al 1318 per l’Ordine degli Eremitani che officiava la chiesa, seguendo la Regula attribuita, appunto, al grande vescovo Agostino, padre e dottore della chiesa, filosofo, teologo, maestro di oratoria sacra e, soprattutto, santo. Alle norme agostiniane dobbiamo una non trascura- bile sfumatura estetica che si rivolge a coloro che amano la «bellezza spirituale» ed espandono il «buon odore di Cristo», disposti a rivolgere lo sguardo dalle esperienze sensibili a quelle celesti. L’affresco si deve a un anonimo ma sofisticato pittore riminese del Trecento, identificato forse in Zangolus, fratello di Iohannes e Iulianus. L’episodio è tratto dal Vangelo di Giovanni (Gv 20,17), non a caso il titolare della chiesa degli Agostiniani: Maria di Magdala, recatasi al luogo della sepol- tura di Gesù, per portare al corpo del maestro il conforto dell’unzione funebre, non trova il cadavere, teme un furto, e si dispera in lacrime. Un uomo le si avvicina per confortarla: Maria crede si tratti del custode del cimitero; è invece il Salvatore risorto dai morti che le ordina: «Non mi trattenere (Noli me tangere), perché non sono ancora salito al Padre; ma
vai dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Il tema intende rivelare l’ordine sovrannaturale al quale appartiene il corpo risorto del Salvatore: commentando il testo Agostino scrive, infatti: «Non ci resta che ammettere che si nasconde qui un mistero», cioè che il Cristo «e il Padre sono una cosa sola». Perché la Maddalena non deve toccarlo, non può trattenerlo? La Chiesa intende in questo divieto la volontà del Cristo di alludere alla nuova natura del suo «corpo glorioso», rafforzando nel cuore di Maria e degli Apostoli la fede nella sua resurrezione e nella sua divinità, come scrive l’antico liturgista Bruno di Segni, a commento del Vangelo di Giovanni: «Non toccare conle mani ciò che non hai ancora toccato con la fede. Credi che sono risorto e che, spogliato l’Inferno, Io ascendo al Padre; non cercare nel sepolcro me, che sono ovunque e non posso essere costretto in nessun luogo».

La tradizione pittorica, dal Medioevo in poi, rappresenta questo episodio in una forma stabile: la Maddalena compie il gesto di toccare Gesù, ma il Redentore la scansa fuggendole. Qui il gesto della donna, genuflessa e vestita con un abito viola, quasi penitenziale, sembra una preghiera. Il Cristo indossa una lunga tunica imperiale, rossa e bordata d’oro; l’abito è segnato sul petto da un rettangolo che rammenta l’ephod, il pettorale del Gran Sacerdote ebraico. Non è Cristo, come c’insegna la Lettera agli Ebrei, il sommo ed eterno sacerdote (Eb. 4, 14)?

Sulle spalle, Gesù porta un mantello bianco e sfolgorante, trapunto di cerchi e losanghe su cui fioriscono piccole forme cruciformi a foglia d’oro. Il Risorto regge una lunga e rossa verga crociata, come nelle raffigurazioni antiche e bizantine della Discesa agli Inferi: la Croce vince la morte e l’Inferno. Il manto si mostra candido e abbagliante, come le vesti di Cristo nell’episodio della Trasfigurazione sul monte Tabor in cui si è palesata la sua di- vinità (Mt 17, 1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36; 2Pt 1, 16-17). Al tempo il Signore si era rivelato solo ai tre apostoli prescelti, Giacomo, Giovanni e Pietro, che dovettero custodire il segreto fino al giorno della resurrezione; ora Maddalena è incaricata di annunciare il mistero: una donna è apostola tra gli apostoli, ha vistoper prima ciò che gli altri conosceranno solo dopo. La scena avviene nell’orto cimiteriale dove si trova il sepolcro di Gesù: un giardino descritto con alberelli ormai poco visibili e di cui il Salvatore è creduto il custode dalla Maddalena. Un saggio fraintendimento: non è forse Cristo il Verbo con cui Dio ha creato l’Eden, e non è Egli il Nuovo Adamo, custode del Paradiso?

Lo stesso tema è affrontato, con simili allusioni, anche da magister Petrus, Pietro da Rimini, in una tavoletta, che, al Museo della Città, affianca le Pie donne al Sepolcro col Risorto: entrambe acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini nel 1994, provengono probabilmente da una pala di piccole dimensioni, realizzata tra il 1325 e il 1330, che comprendeva anche la Natività della Collezione Thyssen-Borne- misza di Madrid nonché la Presentazione al Tempio e la Deposizione nel sepolcro ora custodite presso la Gëmald- galerie del Museo di Stato di Berlino.

Qui il Salvatore sfugge all’abbraccio della Maddalena, quasi con un passo di danza, sintomo del fare elegante e insieme finissimo di Pietro: non regge più la Croce ma un vessillo crociato, segno del suo trionfo sulle porte degli inferi, e veste una lunga tunica blu, segno della sua origine divina. La Maddalena vestita del rosso ardente, tra- sfigurazione mistica dell’e- ros, compie una perfetta proskynesis, una prostrazione liturgica.

Il sepolcro è collocato in un giardino (Gv. 20, 15), descritto da Pietro con alberelli e piccole piante. L’allusione, anche in tal caso, è al Paradiso, di cui il Verbo di Dio è il vero creatore e detentore, riconquistato da Gesù con la vittoria sulla morte. La ricca decorazione del fondo oro, simbolo concreto della gloria di Dio presso l’arte bizantina, rimanda con il suo ornamento vegetale di gusto gotico all’Albero della Vita del Paradiso terrestre e della Gerusalemme celeste (Gen. 2, 8; Ap. 22, 2), con cui s’inizia e si chiude la vicenda di creazione, salvazione e trasfigurazione del cosmo. Anche in questi particolari si compie la preziosa sintesi che sigilla la grazia della pit- tura trecentesca riminese, tra la fonte cristiano-orientale e le innovazioni narrative, spa- ziose e prospettiche toscane, innescate da Giotto.

Alessandro Giovanardi