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Padre Tosi, cercatore d’anime

Mentre tutti correvano in nord America a cercare l’oro e i preziosi minerali di cui si vociferava in mezzo mondo, Padre Pasquale Tosi partiva da San Vito, che gli diede i natali nel 1835, a caccia di anime, spinto dal desiderio di accrescere la gloria di Dio e salvare più anime che poteva. Grande esploratore e missionario gesuita, visse per 20 anni tra i Nativi americani sulle Montagne Rocciose e 12 anni in Alaska, paese a quel tempo del tutto inesplorato.
Delle sue gesta si è parlato martedì 20 luglio alla parrocchia di San Vito insieme a mons. Pietro Sambi, nato a Ponte Uso di Sogliano e ora nunzio apostolico negli Stati Uniti, che ancora serba, vivo, il ricordo della visita alla tomba di Padre Tosi a Juneau: “Si dice che per chi muore lontano da casa il primo pensiero è ai cari e l’ultimo alla misericordia di Dio. Lì sulla tomba di Padre Tosi mi sono sentito di rappresentare San Vito e ho provato grande ammirazione per Tosi, che ha portato istruzione e benessere in Alaska”.

Una vita nel Vangelo
Amatissimo in America, Pasquale Tosi è poco conosciuto in patria, ma le sue lettere ai famigliari, con i racconti dettagliati delle sue imprese, restano per noi a testimonianza delle gesta eroiche di questo sanvitese che ha dedicato alla causa del Vangelo tutta la sua vita.
Ripercorriamo insieme a mons. Sambi le tappe del viaggio che Pasquale Tosi intraprese in America e nella fede.

Chi era Pasquale Tosi?
“Un grande missionario e un esploratore, uomo di scienza e cultura, emblema del missionario che parte per sempre.
Nacque a San Vito il 27 aprile 1835 in una casa modesta dove oggi si trova l’hotel Verde Mare e fu battezzato il giorno dopo. Ricevette la prima educazione religiosa in famiglia e frequentò le scuole elementari a Santarcangelo sotto la guida di don Alessandro Migani. Nel 1852, all’età di 18 anni, entrò al seminario di Bertinoro, retto dai Gesuiti. Nel 1861 fu ordinato sacerdote e prese servizio a San Vito, dove rimase per 18 mesi. Poco dopo divenne Gesuita e missionario, così andò a vivere a Montecarlo per imparare l’inglese, il francese e il tedesco. Lingua, quest’ultima, che gli sarebbe tornata utile poco più tardi in America. In quel tempo, infatti, il tedesco era la lingua più parlata negli Stati Uniti”.

Verso gli Stati Uniti
Cosa sappiamo del suo viaggio negli Stati Uniti?

“Nel 1865 salpò per l’America del nord diretto alla Rocky Mountain Mission, la missione situata sulle Montagne Rocciose, dove il governo aveva relegato i Native Americans, quelli che erroneamente il cinema ha battezzato pellerossa, o peggio selvaggi o barbari.
Tosi descrive con dovizia di particolari il suo viaggio, parla ad esempio di New York come della «più grande città d’America, 1.000.000 di abitanti e ci sono 8.000 italiani che vivono come bruti e danno un cattivissimo nome e quando si è detto italiano è lo stesso che dire uno dei primi bricconi del mondo, perché vivono senza religione e a spalle altrui», mentre gli irlandesi vengono citati come i migliori religiosi. Egli infatti in una lettera a San Francesca Chiabrini esprimeva l’auspicio che preti italiani andassero a prendersi cura dei connazionali: «Oh! Se fra tanti preti, frati italiani che stanno tutto il giorno con le mani alla cintola, qualcuno venisse qua, quanto bene farebbe e quante anime si salverebbero!»”.
Come fu il primo contatto con i Nativi?
“Sulle montagne rocciose trovò un popolo molto variegato, fatto di 600 tribù diverse. Rimase tra loro per 20 anni, imparando nel frattempo sette lingue diverse, nella consapevolezza che per entrare nel cuore delle persone bisognava prima entrare nella loro lingua.
Il 2 giugno 1872 scrive alla sorella Fedele, suora benedettina a Cesena: «La casa qui in missione è fatta di legno, intonacata di fango e così tutti i nostri fabbricati. La nostra casa consiste in una tela posta sopra tre bastoncelli, attaccata attorno a pioli, cavicchi o pali piantati in terra che forma una piccola ombrelle che ci ripari dall’acqua quando piove e dal sole d’estate. Questa si usa solo nei campi, cioè quando stai fermo, quando il padre deve passare colà qualche tempo, nella strada e durante il viaggio poi, non si fa loggia, ma si dorme a cielo scoperto e quando piove sotto qualche albero», ma aggiunge: «Qui i selvaggi fanno gran festa quando scorgono la veste nera del padre, giungendo anche da luoghi distanti 20 o 30 miglia dall’accampamento». E ancora, in una lettera alla madre nel 1873, scrive: «La mia escursione, nonché essere lunga e difficoltosa, è anche pericolosa. È così pericolosa che non vi mancò nulla che non vi lasciassi la vita, e se l’amabile San Giuseppe non mi avesse aiutato, a quest’ora sarei pasto dei pesci e di qualche altro animale. La mia salute è sempre la medesima, agile e forte. È così forte che la posso paragonare ad un muletto».
Le difficoltà certo non mancavano ma Padre Tosi era supportato da buona salute, anche se in una lettera scritta il 10 aprile del 1878 al fratello Giulio si legge «in quanto a robustezza ho perduto molto…»”.

Viaggio a sud
Nel 1880 Padre Tosi si sposta verso sud

“A sud incontra selvaggi rotti da ogni vizio ma più di tutto afflitti dall’alcol con cui gli Americani avevano “pagato” i loro territori originari. L’alcolismo purtroppo è ancora oggi una piaga per questo popolo e rischia di portarlo all’estinzione insieme al gioco d’azzardo. Una volta arrivato a sud, impara subito la nuova lingua, come attesta una lettera di quel periodo in cui afferma «Questa sarà la settima lingua barbara che mi dovrò mettere in testa». Lui sapeva che per attirare la confidenza di un popolo bisogna prima impararne la lingua. Ma non si limitò a imparare le lingue dei popoli che incontrava: Tosi redasse e pubblicò anche alcuni vocabolari per tradurre dall’inglese alle lingua dei nativi e viceversa”.
Come cambia la religione dei Native Americans dopo la diffusione del Vangelo?
“Prima i Nativi credevano sostanzialmente nella Madre Terra come principio di ogni cosa e ne veneravano i frutti e le manifestazioni. Poi è avvenuta un’operazione di sintesi tra Dio e la Madre Terra, per cui la Madre Terra diventa punto di partenza per essere grati a Dio Creatore che l’ha data agli uomini”.

E infine… l’Alaska
Nel 1886 si profila una nuova meta, l’Alaska. Cosa accadde?

“In quell’anno, Tosi e il gesuita francese Louis Robaut decisero di seguire l’arcivescovo Charles Louis Seghers in Alaska, un territorio esteso su 1.500.000 kmq e abitato appena da 60mila persone. Le ragioni di questa missione sono da ricercare nella recente ondata di evangelizzazione dell’Alaska da parte della Chiesa ortodossa russa, i cui metodi destavano perplessità nello stesso Tosi.
I tre decisero di portare in missione con loro anche un laico, che però Tosi riteneva troppo instabile psicologicamente. Il viaggio verso nord iniziò e ben presto li mise davanti a un territorio aspro, coperto di neve per la maggior parte dell’anno, con temperature che oscillavano tra i -40 e i -70 gradi centigradi e dove per 6 mesi dell’anno è sempre buio e per 6 mesi è giorno.
Tosi e Robaut decisero di fermarsi per l’inverno in Canada prima di inoltrarsi in Alaska per adattarsi al territorio e apprendere la lingua del popolo che avrebbero incontrato, mentre l’Arcivescovo decise di proseguire con il laico, che lo avrebbe ucciso nel novembre del 1886. Tosi apprese della sua morte solo nella primavera del 1887 dopo aver varcato il confine dell’Alaska. Non si sarebbe mai perdonato di avergli permesso di proseguire da solo con una persona che lui giudicava uno squilibrato mentale”.
Quale fu l’opera di Tosi in Alaska?
“In Alaska, Pasquale Tosi restò 12 anni, durante i quali insegnò la religione, impartì l’educazione e insegnò le nozioni dell’agricoltura, contribuendo alla civilizzazione di questo popolo.
Poi, nel 1892, tornò in Italia per incontrare Papa Leone XIII, cui raccontò la situazione della missione in Alaska rammaricandosi per l’assenza di un Vescovo che cresimasse gli indigeni che lui aveva iniziato al Cristianesimo. Il Papa allora lo insignì del titolo di Prefetto Apostolico, il primo in Alaska, incoraggiandolo: «Andate, fate voi da Papa in quelle regioni».
Tornato in Alaska, si diede un gran daffare per portare la parola di Dio, ma diede anche un importante contributo alla geografia, alla cultura e alle scienze. Una volta, ad esempio, si avventurò verso i monti e visitò oltre 40 villaggi ignoti, che fece trascrivere sulla carta geografica come chiestogli dal Governo degli Stati Uniti che gli aveva fornito gli strumenti necessari per calcolare la latitudine e la longitudine.
Il 13 settembre 1897, salutato da 4 colpi di cannoni, segno della grande considerazione in cui era tenuto, Tosi salpò da St. Michael diretto a Juneau, dove morì a causa di una malattia cardiaca il 14 gennaio 1898 a 63 anni”.

L’amore per l’esplorazione
Che cosa lo motivava tanto da spingerlo in territori inesplorati e inospitali?

“Erano due le motivazioni che lo spingevano: la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime. In virtù di questi principi riuscì a far conoscere il Vangelo a molti popoli, si adoperò per migliorarne le condizioni di vita, gettò le basi dell’istruzione. La sua era una personalità forte e determinata, che lo portava a tener testa ai suoi progetti e lo rendeva impaziente, ad esempio, nei confronti di chi non ottemperava ai propri doveri a causa di debolezze fisiche. In effetti, aveva un carattere non facile: quel che decideva si doveva fare!”.

Stupisce come la figura di Padre Tosi sia tanto importante in America quanto poco conosciuta in patria.
Padre Tosi in America, infatti, gode di grande stima e considerazione. Il governo americano stampò a proprie spese i suoi dizionari e le sue grammatiche in lingua nordica. La maggior parte della documentazione storica su Tosi si trova a Spokane nello Stato di Washington. In Italia questo illustre sanvitese non è molto noto. Nel centenario della sua nascita nel 1935, però, gli sono state dedicate una via e diverse lapidi: una si trova sotto il portico della Chiesa di San Vito, una sotto il loggiato del Comune di Santarcangelo, una nella Colleggiata di Santarcangelo e l’ultima nella casa natia (ora Hotel Verde Mare).

Romina Balducci