Home Storia e Storie Ospedali, spiaggia e guaritori popolari

Ospedali, spiaggia e guaritori popolari

Difficile stabilire come le cose che appartengono alla normalità, alla quotidianità abbiano fatto la storia. Così ogni tanto è necessario esser messi davanti all’evidenza. 20 anni dell’Ordine/20 secoli di sanità a Rimini è la mostra (25 gennaio-23 febbraio) che vuole celebrare i primi vent’anni dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri a Rimini, un po’ fa anche questo: mettere tutti davanti al ruolo che la medicina ha avuto nella costruzione della società, della città, così come la vediamo oggi.
La mostra ripercorre i duemila anni della sanità di Rimini attraverso un’antologia di documenti e di oggetti che arrivano da enti (circa una decina) e da privati (sempre nell’ordine della decina). Sono più di 150 i pezzi che si possono ammirare al Museo della Città di Rimini, alcuni dei quali inediti per la città. Si passa dagli strumenti medici antichi a vecchie prescrizioni mediche ingiallite dal tempo.

I capitoli
della mostra:
Sotto il segno di Planco; Il “chirurgo” della domus; La medicina a Rimini tra Medioevo e Rinascimento; Gli ospedali riminesi; L’Ospedalino dei bambini (1910-1985); Gli ospedali di Riccione, di Santarcangelo di Romagna e di altre località della provincia; La sanità privata; Le cure marine; Rimini aperta; La medicina popolare in Romagna; La storia dell’odontoiatria; I vent’anni dell’Ordine; Il medico fra passato e futuro. Rimini aperta nello specifico è un documentario girato da due medici, Alberto De Giovanni (1921-1996) e Franco Bartolotti (1921-2013) che raccontano e mostrano una città che muove i primi passi verso il turismo balneare.

La Rimini
balneare

In effetti la Rimini balneare deve molto alla Rimini medica, basti pensare – e bene lo spiega il dott. Stefano Carolis ne il Notiziario (anno xvi, numero 4), il periodico dell’Orine di Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Rimini – che «l’abitudine di recarsi a Rimini «per giovarsi o a diporto o a salute de’ bagni di mare», iniziata negli anni attorno al 1830, ebbe il battesimo dell’ufficialità il 30 luglio 1843 con l’inaugurazione dello Stabilimento privilegiato di Bagni Marittimi, costruito per iniziativa del medico Claudio Tintori e dei conti Alessandro e Ruggero Baldini. Dopo un periodo di stasi, o stabilimento balneare fu ampliato dal Comune (che ne era diventato proprietario nel 1986) e nuovamente inaugurato il primo luglio 1873; ai nuovi edifici che lo componevano (le palazzine gemelle, il Kursaal, la Capanna svizzera) si aggiunse nel 18676 lo stabilimento Idroterapico e che – sotto la guida di illustri medici quali Paolo Mantegazza e augusto Murri – divenne un centro d’importanza nazionale per la talassoterapia. Nei decenni successivi la costruzione degli ospizi marini e delle colonie dimenticate scolastiche estese anche alle classi popolari e all’infanzia i benefici profilattici e terapeutici delle cure marine».

Gli ospedali
della città
Mostra a parte, nel bellissimo catalogo viene ben narrata la storia della medicina della città che passa inevitabilmente attraverso le strutture e gli ospedali sorti e morti in città. È sempre De Carolis (tra i principali curatori della mostra) a spiegarlo ne il Notiziario: «Dal basso Medioevo all’età contemporanea la storia della sanità riminese si identifica soprattutto con quella dei suoi ospedali. Ciò che restava dei quasi cinquanta ospedali documentati a Rimini dal 1131 sino alla fine del Quattrocento venne accorpato all’ospedale trecentesco di Santa Maria della Misericordia il 26 giugno 1486, per volere degli ultimi Malatesta, formando così un unico grande nosocomio cittadino. Considerato già angusto e scomodo agli inizi del Seicento, l’ospedale continuò a servire la città – come struttura non solo sanitaria, ma anche caritativa e assistenziale – fino al settembre 18000, allorché fu trasferito nell’ex Collegio dei Gesuiti e assunse il nome di Ospedale degli Infermi. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale – durante la quale l’ospedale fu gravemente danneggiato dai bombardamenti anglo-americani – si iniziò a pensare a un suo trasferimento in un’altra zona della città. Nel 1961 fu scelta una vasta area agricola di proprietà in località Colonnella e il progetto affidato all’architetto Mario Ravegnani Morosini; iniziati nel 1964, i lavori del primo e secondo stralcio si conclusero dieci anni più tardi con l’inaugurazione dell’attuale edificio (15 giugno 1974). Negli anni successivi l’ospedale ha continuato a espandersi, proiettandosi verso il terzo millennio con la costruzione (2006-2011) del nuovo Dipartimento di Emergenza accettazione (DEA)».
Interessanti anche le ricostruzioni della “vita” dell’Ospedlino dei bambini (1910-1985) della struttura di Santarcangelo, Riccione, Cattolica, Novafeltria, Verucchio e Montescudo.
Capitolo a parte quello dedicato al medico condotto. Siamo nel periodo successivo all’Unità d’Italia quando le amministrazioni comunali avevano a stipendio i medici condotti, figure a disposizione di tutti i cittadini ai quali veniva assicurata gratuitamente la cura. Era anche esperto di pediatria, ostetricia e chirurgia e lavorava a stretto rapporto con altre due figure rilevanti nel campo medico: i farmacisti e le levatrici. Spiega De Carolis che: «al di là di semplicistiche mitizzazioni, la sua figura fu sicuramente innovativa ed eroica: spesso isolato geograficamente e scientificamente, totalmente dedito al lavoro intenso e faticoso, egli divenne il cardine – assieme al parroco e al maestro di scuola – di un’opera capillare tesa a migliorare le condizioni di vita delle classi più disagiate. Dagli anni ’60 del Novecento la figura del medico condotto è stata sostituita dapprima dal medico della mutua e quindi dal medico di medicina generale, che rappresenta attualmente il primo riferimento per la salute di ogni cittadino».

Medicina
popolare

Interessante e poco nota la parte dedicata alla medicina popolare romagnola, che si incarna emblematicamente nella figura di Nicola Gambetti di Monterotondo, classe 1832 (morì nel 1921), esponente di una ricca famiglia del Montefeltro che curava animali e persone con delle “segnature” e con delle erbe che lui stesso coltivava. Pare che Gambetti avesse aiutato la Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele II, a partorire il suo quinto figlio dopo 8 giorni di inutili prove. A Tal proposito nel catalogo della mostra Giancarlo Cerasoli, scrive: «Nell’universo folklorico per ogni tappa del ciclo della vita erano previste pratiche propiziatorie. Così, per proteggere dalla gravidanza, la donna incinta non poteva oltrepassare cavezze o dimenticarsi fili sul dipanatoio poiché questo avrebbe favorito l’attorcigliamento del cordone ombelicale attorno al collo del feto. Il neonato andava tenuto per otto giorni lontano da occhi indiscreti e la sua fisionomia era osservata con attenzione per ritrovarvi presagi di fortuna. Per evitare le malattie si dovevano mettere in atto specifiche azioni. Per proteggere la vista era consuetudine mettersi orecchini d’oro e lavare gli occhi il sabato santo con l’acqua attinta da sette pozzi diversi. Quando ci si ammalava, si utilizzavano prima di tutti i rimedi casalinghi, a base di erbe. In caso di persistenza dei sintomi si faceva ricorso all’intercessione dei santi e alle cure dei tanti guaritori specializzati che con segnature, piombature, scongiuri e vari rimedi cercavano di eliminare il male».

Angela De Rubeis