Home Attualita “Come ci sono riuscita? Non ho avuto paura di buttarmi”

“Come ci sono riuscita? Non ho avuto paura di buttarmi”

“Se non fossi riuscita ad arrivare dove sono ora sarei stata comunque contenta. Ma devo ammettere che questo lavoro lo sento proprio mio”. Angelica Castellani è tra i cinque magistrati più giovani d’Italia. Come ci è riuscita? Con fatica, forza di volontà, dedizione.
Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo “Dante Alighieri” di Riccione e la laurea in Giurisprudenza all’Università di Bologna, Angelica si è trasferita a Milano, dove tuttora vive e lavora. Ma non c’è discesa senza salita, e per riuscire a mantenersi, alla specializzazione di due anni la giovane ha dovuto unire il lavoro part-time presso uno studio legale della città. Quando finalmente è uscito il bando di concorso per diventare magistrato, ha affrontato le prove d’esame superandole al primo colpo, ottenendo lo scorso maggio l’assunzione dal Ministero. Ora, a soli 29 anni, Angelica è magistrato ordinario in tirocinio, e affiancata da giudici professionisti, sta imparando a destreggiarsi tra i vari ambiti della magistratura in attesa di poter definitivamente esercitare. Ma non dimentica il luogo in cui tutto ha avuto inizio: due settimane fa era all’Open Day della Karis Foundation, realtà scolastica riminese che dal 1985 include anche il Liceo “Dante Alighieri”. “La scuola per crescere” è il titolo dell’incontro a cui ha partecipato, in qualità di ex alunna, insieme al Rettore Claudio Minghetti e al Presidente di Confindustria Rimini Paolo Maggioli.
Mi ha colpito – racconta – vedere come gli stessi genitori guardino ora alla scuola come ad un alleato, come arrivino addirittura a chiedersi se sono all’altezza dell’esperienza che i ragazzi fanno in aula”. Nel confronto con alunni, insegnanti e famiglie, Angelica ha ritrovato gli alti livelli d’istruzione che ricordava, gli stessi che hanno contribuito a fare di lei la donna e il magistrato che è ora.

Quanto ha influito il suo percorso formativo nella sua attuale carriera?
“Alla Karis devo soprattutto l’acquisizione del metodo, che io definisco del <+cors>realismo<+testo_band>. Mai i professori ci hanno permesso di fare delle affermazioni senza giustificarle, e questo mi ha aiutato nel mio lavoro, dove la scelta di dare ragione a una delle parti non è qualcosa di istintivo o sentimentale, ma il frutto dell’analisi dei dati reali. Ci hanno insegnato che non possiamo dire a nostro piacimento che il nero è bianco e il bianco è nero, ogni cosa ha una propria identità da cui non possiamo prescindere. La mancanza di umiltà, la presunzione di sapere cose che in realtà non sappiamo, non aiuta il nostro cammino verso la conoscenza”.

Perché ha scelto di fare il magistrato?
“Al liceo le mie materie preferite erano storia e filosofia: da un lato, il cruccio di capire come erano andate le cose e perché, dall’altro la volontà di interrogarmi su cosa sia la verità. Così ho scelto Giurisprudenza, disciplina che poneva un po’ le stesse domande, anche se più in termini di «cosa è giusto o sbagliato». Poi ho capito che non era proprio così, e che la giurisprudenza consiste soprattutto nell’apprendere le norme. Io avevo un’attitudine un po’ diversa, volevo avere una visione più sistematica delle cose. Durante la pratica di avvocato i miei superiori mi dicevano: «Sei un avvocato, non un giudice, devi considerare le leggi a favore del nostro assistito». Io non volevo prendere le parti di nessuno, volevo giudicare!”.

Della giustizia si parla spesso e volentieri male. Come vede l’attività dei magistrati in Italia?
“Al di là di quelle sentenze che fanno scalpore, ho conosciuto professionisti seri, appassionati, che pur con idee diverse si impegnano ogni giorno al servizio dello Stato e di chi chiede di essere tutelato. È innegabile che possano esserci deformazioni, ma l’idea di molti è che se il legislatore è un po’ latitante, i giudici debbano per primi farsi promotori della tutela e del rinnovamento della società. Questo potrebbe essere un nobile compito, ma bisogna stare molto attenti e sapersi muovere in un orizzonte condiviso”.

Un compito che potrebbe essere anche il suo, in futuro. Come si vede nel ruolo di giudice?
“Guardo al problema con interesse, ma so di dovere anch’io stare attenta. Le sfide di oggi sono diverse da quelle degli ultimi cinquant’anni perché sono diverse sia le istanze che vengono dalla società, sia il rapporto con il legislatore. Vedo però con sorpresa che ci sono colleghi cinquantenni che ancora conservano quell’entusiasmo che ho io ora, malgrado sia facile per chiunque farsi abbattere. I tempi della giustizia, ad esempio, sono un problema per la società ma anche per il giudice, che è costretto a vedere come la sua decisione non abbia un’incidenza immediata nella realtà”.

Il suo è stato un lungo percorso. Cosa consiglierebbe ai giovani?
“Non avere paura del nuovo, buttarsi. Oggi si è molto più individualisti, si ha paura di rischiare, e ci si perde in un bicchier d’acqua. Il metodo imparato a scuola può aiutarci ad affrontare con facilità materie che non conosciamo, per me è stato così. Al concorso per diventare magistrato, ad esempio, dei 4mila che si sono presentati, a consegnare sono stati solo 1700. Io non ero certo la più brava, ma non mi sono arresa di fronte a ciò che non sapevo. Nella vita ti chiederanno sempre qualcosa che non sai fare, il punto non è sapere in anticipo cosa, ma essere aperti e non avere mai paura.

Isabella Ciotti