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Obiettivo, medicina di prossimità

Sono settimane decisive per l’Ausl unica di Romagna. Per la fine di gennaio, come promesso dal direttore generale Andrea Des Dorides, dovrebbe essere ufficializzato l’atto aziendale con tutti gli aspetti organizzativi dell’Azienda sanitaria nata un anno fa dalla fusione della Ausl di Rimini con le “cugine” di Forlì-Cesena e Ravenna. Le linee guida sono un nuovo e più rafforzato ruolo dei Distretti sanitari territoriali (quel che resta come punto di riferimento sul territorio dopo la centralizzazione amministrativa a Ravenna) e una struttura ospedaliera reticolare in cui viene meno il rapporto tra primario, reparto e ospedale per assecondare la creazione di una èquipe professionale itinerante capace di muoversi tra i vari presidi ospedalieri romagnoli, a seconda delle necessità. Obiettivi complessi da raggiungere, che richiedono ulteriori approfondimenti e specificazioni come sottolineano Cgil, Cisl e Uil.

Parallelamente a questa riorganizzazione, si gettano le basi per una nuova medicina di prossimità.
Va rafforzato il rapporto tra medici di base, ospedali, Pronto Soccorso e guardia medica così da spostare l’assistenza sempre più dall’apparato centrale (ospedali e PS, che operano a costi fissi elevati) al territorio (medici di base, guardie mediche, Case della Salute, Ospedali di Comunità).
Se è vero che il futuro della sanità, complici l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche, passerà sempre più dalla medicina di prossimità, riservando gli ospedali solo i casi più gravi ed acuti, Rimini in particolare, ha ancora molta strada da fare. Non si tratta solo di venire incontro al paziente, risparmiandogli la spola tra medico di base e ospedali, o al personale medico ed infermieristico dei PS, che a Rimini lamenta un 80% di accessi al PS “incongrui”, ma di sanare anche la spesa sanitaria pubblica. Come ci riferisce il dottor Valerio Nori, presidente della sezione riminese dello SNAMI, uno dei sindacati dei medici di base, “un solo giorno di ricovero in ospedale costa 700-800 euro: è un costo elevato perché si sottintende che l’assistito sia in fase acuta, e fisso, perché l’assistenza ospedaliera è quella, indipendentemente dal bisogno del paziente”.

Il rafforzamento della medicina di prossimità è una priorità anche dei vertici dell’Ausl Romagna.
“Il direttore generale ci ha assicurato che verrà fatto molto per rafforzare la medicina sul territorio, ma ha anche detto che avrebbe investito le stesse risorse del passato. Conoscendo quanto poco è stato fatto a Rimini negli ultimi anni, ciò non è rassicurante”. Se si vuole rafforzare la medicina di prossimità e se al medico di famiglia verrà chiesto più che in passato, vanno investite risorse. E i medici di base, in vista anche del nuovo contratto nazionale al quale la categoria sta lavorando, chiedono un riconoscimento adeguato. In Romagna un accordo tra categoria e Ausl potrebbe arrivare anche prima di quello nazionale. “Des Dorides ci ha detto di cominciare a preparare un accordo aziendale su base locale e attualmente, nell’ambito dell’Ausl romagnola, sono al lavoro due gruppi di medici referenti. Contiamo per giugno di avere una prima bozza da sottoporgli”.
Una grossa parte verrà riservata alle “dimissioni protette”: quei casi in cui il paziente, pur essendo stato dimesso dall’ospedale, richiede ancora assistenza, sebbene non ai livelli di una fase acuta e grave. “Sono dimissioni che vanno inquadrate secondo criteri fissi, non lasciate alla libera discrezione del medico ospedaliero di turno, e che vanno organizzate secondo modalità precise. Potrebbe anche darsi che la persona non riesca ad essere seguita a domicilio. Bisogna che ci sia un trasferimento di competenze dall’infermiere dell’ospedale all’infermiere sul territorio, e questo è solo un esempio. Le altre ex Ausl romagnole, in particolare Forlì, su questo tema hanno pagine e pagine di accordi, a Rimini è stato fatto pochissimo”. Ora però Rimini si trova a ragionare allo stesso tavolo con altri territori più virtuosi, e ciò potrebbe essere un vantaggio.

Nel nuovo accordo Rimini punta a rafforzare le Case della Salute che concentrano in un’unica sede più medici di base, personale infermieristico e di segreteria per un’assistenza 12 ore su 24 e prestazioni sia “di base” sia specialistiche, così da evitare al paziente di fare la spola tra l’ambulatorio del medico di famiglia per l’impegnativa, gli ospedali (con i loro tempi di attesa) o le strutture private (con i loro costi) o, ancora, il pronto soccorso. Il sabato e la domenica restano attive le Guardie Mediche che però, sottolinea Nori, “dovranno essere messe in rete con le Case della Salute”. Il problema è che su queste ultime strutture l’ex Ausl di Rimini ha investito meno delle altre Ausl della regione: 850mila euro contro, ad esempio, gli oltre 3 milioni di Ravenna e Cesena. Rimini ha due Case della Salute, a Morciano e Santarcangelo, che però secondo il dottor Nori rispondono più ai requisiti di semplici Medicine di Gruppo (medici di base in rete nella stessa struttura).

Un’altra priorità sono gli Ospedali di Comunità (Os.Co.), gestiti da medici di base e infermieri, che nella riorganizzazione reticolare contemplata dall’Ausl Romagna, dovranno differenziarsi dagli ospedali classici lasciandolo a questi ultimi i casi acuti e gravi e tenendo per sé i pazienti cronici e meno gravi, quelli che hanno bisogno sì di assistenza (quindi non possono essere mandati a casa), ma ad un costo inferiore per l’Ausl. A Copparo (Ferrara), un vecchio ospedale è stato trasformato in Casa della Salute e Os.Co., e un altro Os.Co. è nato a Forlimpopoli.
Le idee e i buoni esempi non mancano, ma solo i vertici dell’Ausl avranno l’ultima parola.

Alessandra Leardini