Il cibo è da sempre simbolo della vita, oltre ad essere forma di condivisione, accudimento e piacere, rappresenta anche un tassello fondamentale per il sostentamento. L’alimentazione ci accompagna in forme diverse fin dal primo giorno, ci dona i nutrienti necessari per crescere, genera l’energia per vivere. Tuttavia, per qualcuno, il cibo può rappresentare una pericolosa arma a doppio taglio. Generando una nuova epidemia che si sta diffondendo silenziosamente: l’obesità giovanile. Non è un mero problema estetico, ma una vera e propria crisi di salute pubblica che può compromettere il futuro delle nuove generazioni. Con giovani che si ritrovano a dover combattere contro il proprio corpo, diventando vulnerabili non solo a patologie fisiche, ma anche psicologiche e sociali.
L’obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche a livello globale, nel 2022 sono state rilevate oltre un miliardo di persone obese nel mondo, di cui 159 milioni tra bambini e adolescenti. Questa situazione è in netto peggioramento, come confermato dal rapporto OMS del maggio 2022, che evidenzia come in Europa più della metà degli adulti (59%) e quasi un terzo dei bambini (27-29%) siano obesi o in sovrappeso. Dagli anni ’70 il numero di minori in sovrappeso o obesi è duplicato, e le proiezioni indicano che entro il 2030 metà della popolazione mondiale potrebbe esserlo.
L’obesità è dunque una malattia molto complessa, non solo legata a dieta e attività fisica, che contribuisce a oltre 1,2 milioni di decessi annui e rappresenta un fattore di rischio cruciale per gravi patologie croniche come il diabete di tipo 2, l’ipertensione, vari problemi ortopedici, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro. Tuttavia queste patologie non sono le uniche a svilupparsi, sono sempre più diffusi disturbi psicologici legati all’immagine corporea: in crescente aumento l’espansione di disturbi del comportamento e dell’alimentazione come anoressia e bulimia, ma anche ansia e depressione.
Le testimonianze
I dati attuali, dunque, così come le prospettive future, sono decisamente allarmanti; ciononostante, per quanto siano rappresentativi, non potranno mai raccontare a pieno il tormento di chi si ritrova a combattere questa difficile sfida. Le testimonianze dei giovani che lottano con il proprio corpo e con l’alimentazione, sono fondamentali per capire (anche se solo in parte) lo stato d’animo e le difficoltà, soprattutto psichiche, per uscire da questa trappola. Ce le raccontano
Laura e Andrea (nomi di fantasia), giovani riminesi che hanno vissuto questa sfida.
“Il mio rapporto con il cibo è sempre stato complicato. È stato un rifugio sicuro quando ero sopraffatta dai mille impegni, dalle preoccupazioni, il mio premio per gli ottimi voti, la mia unica consolazione quando mi sentivo abbandonata e il mio passatempo per combattere la noia. – racconta Laura – Ma è bastato poco tempo per realizzare che quello che un tempo mi confortava, stava diventando la mia trappola. Ogni fallimento mi fa sentire inadatta, mi rifugio nel cibo, poi mi rendo conto che il mio comportamento compulsivo non fa altro che imprigionarmi sempre più in un corpo che non mi appartiene. La consapevolezza di non essere in grado di reagire in altro modo mi fa sentire inadeguata e incapace, il senso di colpa nel frattempo diventa insopportabile tanto da provare enorme disgusto verso me stessa”.
Forte anche la testimonianza di Andrea.
“Il mio problema non è mai stato ‘non posso mangiare’. È sempre stato il contrario. Fin da quando ero piú piccolo, il cibo era sempre a portata di mano, comodo, ottimizzato, soddisfacente. La soluzione più facile per tutta la famiglia era comprare cibi già pronti o snack confezionati. Non c’era un vero e proprio pasto a tavola, ma un sacchetto di patatine dopo scuola, una pizza surgelata per cena, una merendina per la pausa. Non era cattiveria, ma mancanza di tempo e di conoscenza. Nessuno mi ha mai spiegato cosa fosse una dieta equilibrata, cosa fossero le proteine, i carboidrati o le vitamine. Sapevo solo che il cibo veloce era buono e mi faceva stare bene, almeno per un po’. Sono cresciuto credendo che quel tipo di alimentazione fosse normale. Il mio corpo però, ha iniziato a cambiare. Ho preso peso, tanto peso. La gente mi guardava in modo diverso, mi giudicava, mi prendeva in giro. Mi sentivo sempre stanco, senza energia, come se stessi portando un fardello che si appesantiva giorno dopo giorno. Il mio corpo mi impediva di fare ciò che volevo. Volevo giocare a calcio, ma mi stancavo dopo cinque minuti. Volevo comprare dei vestiti alla moda, ma non c’era mai la mia taglia. Volevo essere come gli altri, ma la mia obesità mi rendeva invisibile. Oggi non posso dire di aver raggiunto il traguardo, ma faccio passi avanti. Il mio corpo sta cambiando e, con esso, anche il rapporto con me stesso. Non mi vergogno più di ciò che sono, ma sono orgoglioso del percorso che sto facendo. Ho ancora tanta strada da fare, ma so che, con l’aiuto giusto, posso finalmente essere libero”.
Cercare di invertire questa rotta è sicuramente un’impresa che richiede tempo, dedizione e impegno sociale. Agire su un singolo fronte non è sufficiente, occorre applicare un approccio integrato, dove istituzioni sanitarie, scuole, famiglie e comunità collaborano, supportando e promuovendo un rapporto sano e consapevole con il cibo.
Il problema dell’obesità giovanile è una sfida complessa che coinvolge molteplici aspetti della nostra società, in primis quello culturale.
Alice Radavelli

