Home Vita della chiesa “Non si riusciva a mangiare per la fila ininterrotta dei poveri”

“Non si riusciva a mangiare per la fila ininterrotta dei poveri”

Carlo era il terzogenito dei sette fratelli: era nato a Rovigo il 2 settembre 1919.
Grande l’affetto fra i fratelli, educati dalla madre a volersi bene, ad aiutarsi reciprocamente, a vivere nella fede.
Durante gli anni della guerra, dal 1940, i tre fratelli più grandi, Adolfo, Alberto, Carlo, richiamati alle armi, si dispersero in varie città, ma rimasero sempre uniti sia per brevi incontri durante le licenze o per contatti epistolari.
Carlo era sottotenente presso il 1° Reggimento Paracadutisti della Folgore a Tarquinia (Viterbo ) per l’addestramento militare. Alberto, militare a Treviso, gli scrive complimentandosi con lui per la riuscita dei suoi lanci da paracadutista.
In virtù di una circolare ministeriale del 1941, quando tre fratelli fossero tutti sotto le armi, uno poteva essere esonerato. Sarebbe toccato a Carlo, il più giovane dei tre fratelli, godere del congedo, ma rinunciò a favore di Alberto: il motivo lo spiega in una sua testimonianza: “sarebbe toccato a me l’esserne esonerato, ma io rinunciai a favore di Alberto, sia perché io ero già ufficiale, sia perché era evidente che Alberto era più utile in famiglia”.
Poi Carlo fu inviato sul fronte egiziano nel 1942. Partecipò alla battaglia di El Alamein, che si protrasse con alterne vicende, fra i due fronti; durante l’ultimo attacco del Generale Montgomery contro le forze italo tedesche, comandate dal Generale Rommel, fu fatto prigioniero il 4 novembre.
Una prigionia nel deserto, lunga e sofferta, che si protrasse, per 4 lunghi anni, oltre la fine della guerra. Potè rientrare in Italia il 27 luglio 1946.
Durante la prigionia, il 29 maggio 1943, riceve la lettera di Alberto che gli annuncia l’eroica morte del fratello Lello sul fronte russo. È una lettera in cui Alberto si appella alla fede e cerca di spiegare il significato del sacrificio e del dolore, perché conosce la fede di Carlo e sa che potrà capire le sue parole.
Coraggio, Carlo mio, coraggio e fiducia nel Signore che solo può darci serenità, rassegnazione e tranquillità in questa terra e la felicità nell’altra… Lello, che ci ha preceduto nel Regno celeste e nel possesso della vita vera, deve essere il nostro esempio e la nostra guida; preghiamolo affinché nel momento dello sconforto, della prova, del dubbio, del dolore ci ottenga dal Signore la forza necessaria per superare la crisi”.
Carlo, affranto dalla “tremenda notizia” scrive alla mamma, il 17 luglio 1943, per dirle tutto il suo affetto e per farle coraggio.
Lello rimarrà ugualmente fra noi, più vicino ancora. Lo vedo come l’ultima volta a Percoto, infagottato nel grigioverde, che inutilmente cercava di nascondergli quell’aria di ragazzo ingenuo, troppo giovane perché la Patria ne dovesse chiedere il supremo sacrificio”.
Ritornato dalla prigionia nel settembre 1946, Carlo iniziò a lavorare come geometra nello studio che Alberto aveva aperto a Rimini al ritorno a casa dopo l’esperienza alla FIAT di Torino nel 1942. Ma purtroppo il loro lavoro insieme durò solo due mesi, perché Alberto morì il 5 ottobre dello stesso anno.
Carlo continuò il lavoro presso lo studio anche dopo la morte di Alberto, meravigliandosi dell’enorme quantità di pratiche che Alberto svolgeva: dovette chiedere aiuto ad altro geometra per poterle portare tutte a termine

a cura di Fausto Lanfranchi